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Il giudice Rosario Livatino Il giudice Rosario Livatino 

Sarà beato il giudice Rosario Livatino

Nei decreti autorizzati dal Papa riconosciuto il martirio del magistrato siciliano ucciso dalla mafia nel 1990 e le virtù eroiche di sette Serve e Servi di Dio

Gabriella Ceraso e Benedetta Capelli -  Città del Vaticano

Ricevendo in udienza il 21 dicembre il cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Papa Francesco ha autorizzato il Dicastero a promulgare i decreti relativi a un nuovo prossimo beato e a 7 nuovi Venerabili Servi di Dio con il riconoscimento delle loro virtù eroiche.

"Un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro e per l’attualità delle sue riflessioni". Così Papa Francesco appena un anno fa, parlava del giudice Rosario Livatino - nato il 3 ottobre 1952 a Canicattì e ucciso dalla mafia in odio alla fede, il 21 settembre del 1990. Oggi è lo stesso Pontefice che, col riconoscimento del martirio, incammina questo giovane magistrato siciliano, all'onore degli altari come prossimo nuovo Beato. Una vita dedicata agli studi di giurisprudenza e alla conoscenza profonda del fenomeno mafioso con la grande capacità di trovare nessi e ricreare trame, tanto da firmare sentenze importanti che lo avrebbero portato nel mirino di Cosa Nostra. Impegno e fede, in un uomo sempre attento alla persona e alla dimensione della redenzione oltre che a quella del reato, quindi capace di condannare ma anche di capire, dando, come lui stesso scriveva, "alla legge un’anima”.

Nel Decreto firmato dal Papa anche le figure di 7 Servi di Dio che divengono Venerabili col riconoscimento delle loro virtù eroiche: provengono da Spagna, Italia e Polonia. 

Spagnoli sono, Vasco de Quiroga -  vescovo di Michoacán, nato verso il 1470 a Madrigal de las Altas Torres e morto in Messico a Pátzcuaro il 14 marzo 1565 -  e con lui, il sacerdote diocesano Antonio Vincenzo González Suárez, nato il 5 aprile 1817 ad Agüimes e morto a Las Palmas sempre in Spagna il 22 giugno 1851.

Vasco de Quiroga studiò diritto e teologia, frequentando sia l'università di Salamanca che quella di Valladolid, per iniziare poi a lavorare in magistratura a Valladolid ove, nel 1528, fu nominato membro della Reale Cancelleria.Nel 1530 ebbe dal re Carlo I di Spagna la nomina a giudice della Seconda Audiencia del Messico col compito di verificare e di rimuovere, tra l'altro, gli abusi che erano stati commessi ai danni degli Indios riuscendo in una delicata opera di pacificazione sociale. In questo periodo Vasco de Quiroga, fondò due ospedali a proprie spese sempre con grande attenzione al mondo indigeno cui dedicò tempo e impegno. Poi la nomina di Papa Paolo III a primo vescovo del Michoacán, occasione per sviluppare un piano pastorale articolato in cui ebbe modo di istituire seminari, di costruire una cattedrale ma anche di creare strutture di vicinanza e cura spirituale e materiale per gli Indios. 

Spagnolo delle isole Canarie il sacerdote diocesano Antonio Vincenzo González Suárez, uomo instancabile e di grande statura intellettuale, ha svolto in pieno '800 molteplici compiti sempre con spirito di servizio. Parroco di Santo Domingo de Guzmán a Las Palmas de G.C., procuratore della diocesi delle Canarie, segretario, vicerettore e professore di teologia fondamentale presso il seminario diocesano, è ricordato soprattutto per la sua attenzione ai parrocchiani, la sua generosità verso i più bisognosi e verso coloro che si rivolgevano a lui in cerca di aiuto. Un grande oratore, esempio di carità e dell'obbedienza. Si è distinto nel suo sacerdozio per il suo amore per i poveri e gli ammalati, distaccandosi da ciò che era necessario pur di servire il prossimo. Da buon pastore aveva trovato la forza nel suo speciale amore per l'Eucaristia e nella devozione filiale a Maria, professando una speciale venerazione per la Madonna del Rosario e l'Addolorata nel quartiere Vegueta della capitale. La sua vita e la sua morte si intrecciano a due tragici eventi della storia della sua terra: una tremenda carestia e la successiva epidemia di colera che lo videro in prima fila nel soccorso ai poveri e ai malati, fino ad ammalarsi lui stesso morendo all'età di 34 anni.

Tra gli italiani e nuovi Venerabili Servi di Dio, Antonio Seghezzi, sacerdote diocesano, un pastore capace di seguire i suoi figli, mettendosi al loro fianco anche in scelte difficili, coltivando un dialogo fatto di attenzione e cura, accompagnando spiritualmente i giovani con lettere e lunghe chiacchierate. Don Antonio Seghezzi era prima di tutto un sacerdote che amava il suo gregge, fatto di ragazzi appassionati dalla freschezza del Vangelo. “La più bella azione cattolica che io farò…sarà donarmi tutto”, scriveva così don Antonio quando era assistente diocesano di Azione Cattolica, un incarico che gli affidò il vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi.

Nato a Premolo, nel bergamasco, il 26 agosto 1906, entra in seminario a undici anni e nel 1929 diventa sacerdote. Prima insegnante poi cappellano militare in Eritrea, nel 1935 entra in Azione Cattolica dove cresce il suo impegno spirituale e la sua generosità sacerdotale. Parla per lui la sua vita, fatta di radicalità evangelica. Una via che impatta con la violenza del nazifascismo, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 sceglie “la strada dei monti” per stare accanto ai tanti ragazzi che lì avevano riparato. “Non incitò alla resistenza attiva – spiegò don Mario Benigni, suo compagno di prigionia in Germania – ma ad una resistenza passiva”. Intanto i nazifascisti minacciano rappresaglie contro il clero e Azione Cattolica per questo, su consiglio del suo vescovo, si consegna spontaneamente e si lascia arrestare il 4 novembre 1943. Subito malmenato e torturato, processato e condannato a cinque anni di lavoro coatto in Germania, poi scontati a tre, viene deportato e costretto ai lavori forzati in una fabbrica di munizioni a Löpsingen. Il 23 aprile del 1945, ormai malato, viene trasferito nel lager di Dachau. Le sue condizioni di salute peggiorano e il 21 maggio 1945, con il campo già liberato, e alla vigilia del suo rientro in Italia, don Antonio muore. I suoi resti vengono ritrovati solo nel 1952 e vengono poi traslati in Italia, dal 2006 riposano nella chiesa parrocchiale di Premolo, la sua terra natale.

Riconosciute dal Decreto anche le virtù eroiche del Servo di Dio Bernardino Piccinelli, al secolo: Dino, dell’Ordine dei Servi di Maria, vescovo titolare di Gaudiaba ed Ausiliare di Ancona, nato il 24 gennaio 1905 a Madonna dei Fornelli, frazione di San Benedetto Val di Sambro e morto ad Ancona  il 1° ottobre 1984. Un" volto pieno di luce, di gioia, di semplicità" un pastore umile capace di leggere dentro al cuore delle persone. Innamorato della Vergine che chiamava con il dolce nome di Mamma, si affidava sempre a lei per i casi importanti e fino alle lacrime la supplicava per il bene delle anime. Ha lasciato nel cuore della gente una nostalgia profonda, radicata nella convinzione che egli fosse vissuto come un santo, anzi come un grande santo come scrive padre Tito M. Sartori, Postulatore del suo Ordine.

Altro sacerdote italiano nuovo Venerabile Servo di Dio è Bernardo Antonini nato il 20 ottobre 1932 a Cimego e morto a Karaganda in Kazakhstan il 27 marzo 2002. Una vita infiammata dalla storia di San Paolo, da quell’anelito di portare al mondo la verità del Vangelo. E’ la vita di don Bernardo Antonini, nato a Cimego, in provincia di Trento il 20 ottobre 1932. Pienamente incardinato nella vita della diocesi di Verona, dove con la famiglia si era trasferito, la sua storia è segnata dallo studio. Dopo essere diventato sacerdote nel 1955, nel 1962 si laurea in lingue e letterature straniere moderne, due anni dopo ottiene la Licenza di Dogmatica e nel 1975 la licenza in Sacra Scrittura. Fino all’età di 60 anni la sua strada è quella dell’insegnamento e anche del giornalismo, poi l’ingresso nell’Istituto “Gesù Sacerdote”, fondato da don Alberione, e in quel momento si innamora di San Paolo. Nel 1989 ha l’opportunità di andare temporaneamente a Mosca per un corso di studi, nel 1991 si mette a disposizione di monsignor Kondrusiewicz, che dalla Bielorussia sta per essere per essere inviato come vescovo a Mosca.

È il periodo della “perestrojka” di Gorbaciov con la Russia che si apre al mondo. Partito da Verona come sacerdote “fidei donum”, don Bernardo, che conosce 10 lingue, a Mosca semina in un terreno arido di fede. Nel 1993 riesce ad aprire il primo seminario, ben 13 giovani si preparano al sacerdozio. Nel 1999 tre di essi vengono ordinati: sono i primi preti dopo 81 anni di vuoto assoluto nel clero locale. Desideroso di arrivare nelle chiese più povere, don Bernardo si sposta a Karaganda, nel Kazakhstan, dove però nella notte del 27 marzo 2002 conclude la sua vita terrena.

C'è anche il nome di una donna tra i nuovi Venerabili Servi di Dio, è Rosa Staltari, religiosa professa della Congregazione delle Figlie di Maria Santissima Corredentrice, nata il 3 maggio 1951 ad Antonimina in Calabria, e morta a Palermo, il 4 gennaio 1974. In soli 23 anni di vita, Rosa Staltari conosce l’amore profondo di Gesù al quale si dedica completamente. Calabrese di nascita, orfana di madre, viene accolta in un collegio dove frequenta le scuole fino alla licenza professionale. Trasferitasi a Reggio Calabria presso l’Istituto "Maria Mater Divinae Gratiae" della Congregazione delle Figlie di Maria Santissima Corredentrice, ottiene il diploma per segretaria di azienda e l’abilitazione alla scuola materna. In lei matura la scelta di consacrarsi nel 1973, un anno dopo a Palermo, dove era stata mandata per insegnare ai bambini, muore in modo improvviso. C’è in lei un misticismo intenso, testimoniato da molti scritti:

“Mi convinco sempre più che è la Madonna stessa a darmi Gesù e che è Lei la bussola che segna l’Amore tra me e Lui e che senza di lei è inutile ogni tentativo. Gesù abbi pietà di me che non so darti nulla, ma che voglio darti tutto". Parole che riassumono tutta la sua vita".

Polacco invece è il nuovo Venerabile Servo di Dio Ignazio Stuchlý, sacerdote professo della Società di San Francesco di Sales. Nato il 14 dicembre 1869 a Bolesławin, in una famiglia molto religiosa dell’Alta Slesia, allora parte dell’Impero austro-ungarico, Ignazio Stuchlý, a 22 anni diventa sacerdote salesiano. La sua strada è segnata da varie tappe, nel 1910 è inviato a Lubiana dove si occupa anche della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice, che era stata interrotta per difficoltà economiche e che, grazie a lui, viene completata. Nel 1925 i superiori lo mandano a Perosa Argentina, in provincia di Torino, per selezionare i candidati alla vita religiosa salesiana per la Cechia, fu il fondatore e insieme il pioniere della presenza salesiana in Boemia e Moravia. Circa 200 le vocazioni fiorite. Con il nazismo e la seconda guerra mondiale arrivarono anni terribili con i beni sequestrati e tanti confratelli inviati ai lavori forzati. Finita la guerra, ormai settantenne, gli venne affidata la difficile gestione del periodo postbellico. Con l’avvento del comunismo le opere salesiane vennero requisite, i sacerdoti arruolati o dispersi. Don Stuchlý vide d’un tratto distrutta l’opera cui aveva consacrato la vita. Gli ultimi anni li passa nella casa di riposo di Zlín, poi a Lukov, sempre sorvegliato dal regime e isolato dalla sua famiglia religiosa. Si spegne serenamente la sera del 17 gennaio 1953.

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22 dicembre 2020, 12:10