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Preghiera in Piazza San Pietro con Benedizione Urbi et Orbi, 27 marzo 2020 Preghiera in Piazza San Pietro con Benedizione Urbi et Orbi, 27 marzo 2020

Il Papa: leader di speranza nell’anno della pandemia

I gesti e le parole del Papa nel 2020 hanno restituito speranza al mondo e invitato alla fratellanza l’umanità colpita dalla pandemia. Le immagini più simboliche di quest'anno restano quelle della preghiera straordinaria del 27 marzo. Interviste al cardinale Ravasi, Ferruccio De Bortoli e padre Federico Lombardi

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

L'ottantaquattresimo genetliaco di Papa Francesco cade negli ultimi giorni del 2020, il cosiddetto "annus horribilis" della pandemia di coronavirus che ha causato nel mondo più di un milione e mezzo di vittime e sta avendo un impatto catastrofico sull'economia globale. In questo contesto il Papa ha svolto e continua a svolgere un ruolo di leadership spirituale riconosciuto anche nel mondo laico. Ai microfoni di Radio Vaticana Italia, ne ha parlato Ferruccio De Bortoli, editorialista, presidente dell'Associazione VIDAS e già direttore del Corriere della Sera e de Il Sole 24 Ore:

L'intervista a Ferruccio De Bortoli

R.- Quella di Papa Francesco mi sembra sia stata una leadership che ha avuto il ruolo di sostituire altre leadership. Parlo delle leadership politiche, che si sono trovate tutte, a differenti livelli e in modo diverso, del tutto inadeguate, sorprese e indebolite dalla pandemia. È un avvenimento che ha messo in crisi anche i leader totalitari, quelli che in qualche modo riuscivano a controllare e a tracciare la vita dei propri cittadini. In questo contesto - soprattutto con quelle straordinarie immagini del 27 marzo di lui davanti a San Pietro in una piazza deserta - mi pare che il Papa sia riuscito ad interpretare il ruolo di “leader della speranza”. Perché tutti quest’anno, indipendentemente dalla loro religione, avevano e hanno bisogno di una diversa visione del futuro e di tornare a credere in sé stessi e negli altri.

Una risposta profonda alla domanda di speranza

Proprio per chiedere la fine della pandemia quel venerdì del marzo scorso Francesco presiedeva un momento straordinario di preghiera sul sagrato della Basilica di San Pietro che resta uno dei gesti più forti del Pontificato in questo 2020. Una “Statio Orbis”, letteralmente una sosta, in cui i credenti di tutto il mondo si sono uniti al Papa intorno al mistero eucaristico. L’omelia in cui Francesco ha trasformato l’angoscia dell’umanità in preghiera a Dio e in invito alla fraternità, è stata pronunciata mentre la pioggia bagnava la piazza deserta, mentre milioni di persone vedevano quelle immagini diffuse in streaming. Una piazza vuota, ma paradossalmente più piena del solito, come sottolinea padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI e già direttore della Sala Stampa della Santa Sede:

L'intervista a padre Federico Lombardi

R.- A me è sempre sembrato chiaro che la piazza fosse vuota fisicamente, ma piena spiritualmente. Anzi, credo che raramente, nella nostra esperienza di molti anni e decenni, ci sia stato un momento in cui abbiamo sentito così tanto la piazza come centro di una presenza spirituale e di una quantità di relazioni, di preghiere e di presenze da tutte le parti del mondo. Quindi era un vuoto esteriore a cui però faceva da contrappunto un grande “pieno” interiore di comunicazione. Non c’erano solo le parole del Papa ma anche le attese, i dolori, le speranze dell’umanità che si concentravano e si incontravano in quel momento mettendosi davanti a Dio, in un luogo così significativo. Io insisterei però sul fatto che, se questo evento era del marzo scorso, siamo tutt’ora nel bel mezzo della pandemia, siamo in piena seconda ondata. Quindi, il servizio spirituale, il messaggio che abbiamo avuto quella sera continua ad essere di estrema attualità. Allora eravamo in Quaresima, oggi in Avvento, ma la pandemia si è avvicinata ancora di più ad ognuno di noi e continua a toccarci con una serie di lutti e sofferenze. Quindi la presenza e l’appoggio spirituale e la guida che ci può dare Papa Francesco con la sua ispirazione alla preghiera e alla solidarietà, continuano ad essere assolutamente importanti e segnano questa parte del pontificato. L’anno che sta per concludersi è stato anche per il papato, e quindi per Papa Francesco, l’anno della pandemia e quindi l’anno in cui il Santo Padre e la Chiesa hanno svolto un’azione di presenza e solidarietà, accompagnamento e annuncio del Vangelo, conforto e speranza, in mezzo a uno sconfinato dolore e a una sconfinata domanda di orientamento e di speranza. La risposta del Papa a questa sfida inedita e sconvolgente è stata credo ad avviso di tutti, assolutamente pronta, adeguata e profonda sia sul fronte spirituale che su quello dell’invito alla solidarietà.

La forte dimensione simbolica dei gesti del Papa

Il 15 marzo scorso, nelle prime settimane della pandemia e del conseguente lockdown, Papa Francesco è uscito a sorpresa dal Vaticano per venerare la Salus populi Romani a Santa Maria Maggiore. Poi, a San Marcello al Corso, ha pregato davanti al crocifisso che i romani nel Cinquecento portavano in processione contro la peste. Gesti che colpiscono anche per il loro collegamento a devozioni tradizionali e per il loro significato simbolico, come sottolinea il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:

L'intervista al cardinale Gianfranco Ravasi

R.- Sono gesti che mettono in luce alcuni aspetti della fede, in generale, ma in maniera particolare anche del modo in cui la esprime Papa Francesco. Nel mondo occidentale abbiamo una grande tradizione che intreccia la ragione con la fede: tutti ricordano l’enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio, in cui fede e ragione sono le due ali che permettono di ascendere al cielo del mistero. In realtà, sappiamo che il conoscere biblico, il conoscere della fede è molto più complesso rispetto alla semplice conoscenza. Richiede infatti anche l’aspetto affettivo, effettivo, l’aspetto volitivo, oltre che quello intellettuale. Ecco, credo che in quei gesti, compiuti dal Papa durante questo anno difficile, brilli soprattutto la dimensione simbolica, com’è stato anche per la preghiera del 27 marzo, naturalmente. Da una parte il camminare concreto del Papa per una strada di una città che in quel momento era nel silenzio, nel dolore, nella prova, nell’oscurità e nella solitudine. Dall’altra la dimensione emotiva, sentimentale propria delle devozioni popolari che non dobbiamo mai cancellare, anche se non può essere un aspetto esclusivo. La devozione popolare, che è infatti cara a Papa Francesco, ha queste due dimensioni: il simbolo e il sentimento, le emozioni, la passione, la tenerezza, che non devono essere mai cancellate per vivere la pienezza del credere.

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17 dicembre 2020, 15:00