Il Papa al Catholic News Service sul viaggio in Iraq e la Chiesa negli USA
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Una preghiera fatta insieme e poi un dialogo: questo nell’incontro di oggi del Papa con un gruppo di giornalisti del Catholic News Service a Casa Santa Marta in occasione dei 100 anni dell’Agenzia di stampa cattolica della Conferenza episcopale statunitense. C’è il viaggio in Iraq nelle parole del Pontefice, secondo quanto riportano gli stessi giornalisti, un viaggio tanto desiderato, da compiere a marzo, a meno che non ci sia una nuova ondata di contagi da Covid 19, e un viaggio per portare la sua vicinanza al popolo, come lo stesso San Giovanni Paolo II aveva tanto desiderato nel 2000, senza poi poterlo realizzare.
Nel discorso scritto e consegnato, il riferimento del Papa alla storia dell’Agenzia cattolica, “un inestimabile contributo nel mondo di lingua inglese” alla ricerca della verità, “in un'epoca in cui le notizie possono essere facilmente manipolate e la disinformazione è diffusa”. Quindi le parole sul ruolo del giornalista che dovrebbe aiutare a distinguere il bene dal male e contribuire al dialogo.
Aiutare l’unità e non favorire le divisioni
E proprio il dialogo, insieme all’unità e alla fratellanza sono le parole chiave delle risposte del Papa alle varie domande dei giornalisti, a partire dal ruolo dell’informazione cattolica oggi nel servizio alla Chiesa statunitense, una “Chiesa coraggiosa” e “viva” secondo Francesco.
Cercare “l’unità della Chiesa, perché la Chiesa divisa non è Chiesa, è la Chiesa in tentazione” indica loro il Papa, affidando quindi ai giornalisti il compito di “aiutare la Chiesa da uscire dalle tentazioni”, di “cercare di far ragionare le parti”, “cercare la strada della fratellanza” unendo, perché “un mezzo di comunicazione che butta benzina sul fuoco non aiuta” e ”la strada delle divisioni non porta da nessuna parte”. L’unità - ricorda ancora il Pontefice - non è uniformità”, è l’unità nelle differenze: “possiamo discutere - dice - ma avendo lo stesso cuore”.
Speranza per la Chiesa statunitense
Interrogato poi sul volto della Chiesa degli Stati Uniti oggi, Francesco ne rimarca il tratto di vita e di "vivacità"; cita la vasta rete di scuole cattoliche e gli sforzi delle tante attività per assistere e aiutare l'integrazione degli immigrati, menzionando in particolare l'arcivescovo José H. Gomez di Los Angeles e il vescovo Mark J. Seitz di El Paso, Texas. Una Chiesa “viva”, “cattolica nel senso di Universale”, una Chiesa “generosa e umile” perché ha sofferto “la crisi delle accuse degli abusi” e ha chinato la testa, si è pentita e ha obbedito anche nel fare le indagini necessarie. E poi una è "Chiesa che prega", conclude, che avrà anche dei difetti, come li hanno tutti, ma a cui il pontefice assicura di guardare "con speranza".
I peccati del giornalismo
Quindi, ricordando un discorso fatto ad un congresso di giornalisti della carta stampata in Argentina, il Papa dice di aver parlato dei 4 peccati di questo lavoro, e li ribadisce. Il primo è la "disinformazione", cioè “dire una parte e non l’altra”, mentre è “nel tutto che ci sono le sfumature”. Dunque - chiarisce - la disinformazione “è un peccato perché ti porta all’errore”. Il secondo è la “calunnia, un peccato grave, che consiste nel “togliere la fama ad una persona con una bugia”; e poi c’è ancora la “diffamazione” che sporca una persona con un passato che non esiste più. E infine la “coprofilia” che Francesco descrive come “l’amore alle sporcizie”, perché - dice - “gli scandali vendono” e “la gente tante volte ha “il vizio della coprofagia” cioè di “mangiare scandali”. Da qui la raccomandazione a non cadere in questi peccati.
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