"Papa Francesco. Un uomo di parola": il film di Wenders in prima tv
di Dario Edoardo Viganò
Non c’è tempo pensato se non è raccontato. Il film del regista tedesco Wim Wenders Papa Francesco. Un uomo di parola (2018) – per la prima volta su Rai Uno il Venerdì Santo, in occasione della Pasqua – si presenta, come suggerito da Paul Ricœur, un racconto per custodire il tempo. Un incontro, quello di Wim Wenders (e del suo cinema) e di papa Francesco (e del suo ministero), che è tessuto in una sceneggiatura simile al «mormorio di un vento leggero» (cfr. 1 Re 19,12), con una regia che fa dell’incontro tra papa Francesco e lo spettatore la linea portante.
Un progetto che prese il via nel 2013
Fin dai primi istanti del suo pontificato papa Francesco si è rivelato portatore di un nuovo stile: in poco tempo ha sovvertito i tradizionali codici comunicativi, giungendo a rinnovare radicalmente l’immagine (e non solo quella) del papato. E fin dai giorni immediatamente successivi all’elezione molti broadcaster internazionali e case di produzione cinematografiche si sono presentate in Vaticano proponendo di realizzare un documentario. Ogni volta però la risposta del Papa era sempre la stessa, un deciso diniego accompagnato dalla stessa motivazione: “Io non faccio l’attore!”. Nonostante i rifiuti, le richieste da registi e network però non sembravano arrestarsi. Così piano piano iniziava a farsi strada la consapevolezza che, qualora si fosse fatto un film su di lui, il modello della “giornata del Papa” non fosse il racconto più appropriato.
Era necessario, infatti, che il Papa si sentisse libero di raccontarsi secondo la sua modalità comunicativa capace di accorciare immediatamente le distanze: in intimità, attraverso un gioco di sguardi, il suo e quello delle persone. E lo sguardo di Wenders, capace di raccontare il mondo del visibile e insieme squarci di quello invisibile, non poteva che essere il più attento e adatto a realizzare un film su e con papa Bergoglio. Basti pensare alla sua lunga filmografia e a quello sguardo sugli angeli tanto nel film Il cielo sopra Berlino (1987), come pure nel successivo Così lontano, così vicino (1993). In particolare gli angeli tratteggiati nel film Il cielo sopra Berlino così distanti dal cascame devozionale e così intrisi della poesia di Dante e di Rainer Maria Rilke.
Il cammino produttivo vero il primo ciak
Una buona idea senza le adeguate coperture economiche rischia di morire sul nascere. Dopo i primi contatti con il regista Wim Wenders alla fine del 2013 ci vollero diversi mesi per trovare la giusta quadratura capace di far decollare il progetto. In questo fu provvidenziale l’incontro con i produttori Andrea Gambetta, Alessandro Lo Monaco e Samanta Gandolfi Branca. In particolare Gambetta, nel 2014, aveva coprodotto Il sale della terra, documentario-ritratto della vita e dell’impegno civile-ambientale del fotografo brasiliano Sebastião Salgado. E da subito è stata condivisa con Wenders l’idea che il film non dovesse essere costoso: pareva assurdo realizzare una produzione di grosso budget su un Papa che fin dal primo giorno del suo pontificato ha fatto della sobrietà il suo stile di vita e il suo messaggio per il mondo. Il film ha così preso forma nel corso del 2015 e all’inizio del 2016 Wenders e la sua piccola squadra tecnica, che comprendeva anche l’affermata direttrice della fotografia Lisa Rinzler (al suo fianco nel progetto Buena Vista Social Club del 1999), erano pronti a partire con le riprese.
Lo sguardo di Wenders
A Wenders è stata lasciata una piena libertà nella realizzazione del film: non si trattava di un prodotto su commissione e non gli vennero posti dei vincoli, garantendogli il controllo anche del final cut dell’opera. Diversi mesi dopo, nel novembre 2017, con il film nella fase ultimativa di montaggio Wenders scriveva: «Questo film era (ed è) una responsabilità enorme, soprattutto poiché mi è stata data una così generosa “Carte Blanche”. Ho avuto bisogno di aiuto, o di una guida, molto più che per ogni altro mio precedente film, così Donata e io abbiamo pregato molto chiedendo allo Spirito Santo la sua vigilanza. Sento e so adesso che questo non è soltanto “il mio lavoro”, o il lavoro del montatore, o dei produttori o di chiunque altro. È anche un procedere di quello Spirito, il suo farsi avanti. Egli sente la necessità di pervadere il film, di prenderne possesso fino ad essere presente in ogni momento di esso. Non è qualcosa che si può forzare».
Il regista tedesco ha subito saputo prendere le distanze dalla produzione tradizionale, documentaristica o di finzione, dedicata ai pontefici. Si è tenuto lontano da quello sguardo narrativo-descrittivo consolidato rintracciabile ad esempio già a partire dalle prime inquadrature su Leone XIII nel 1898, oppure dal film su Pio XII del 1942 Pastor Angelicus, sino ai documenti audiovisivi dedicati a Giovanni XXIII. Riuscì immediatamente a trovare una chiave narrativa che si adattasse allo stile del Papa.
Ispirandosi allo stile del documentarista premio Oscar Errol Morris, per realizzare il film Wenders ha scelto un approccio diretto e senza fronzoli, senza mai apparire nelle interviste né essere udito mentre poneva le domande. Per farlo ha utilizzato la tecnica impiegata da Morris, apportando però una modifica alla macchina da presa nota come Interrotron, una sorta di teleprompter (il gobbo della televisione), modificato in modo tale che il Papa guardando verso l’obiettivo poteva vedere il volto di Wenders che gli poneva le domande. Il regista, nascosto da una tenda nera e idealmente seduto su una sedia di fronte a Bergoglio ma a lui invisibile, grazie all’Interrotron poteva così guardare il Papa negli occhi senza che l’obiettivo creasse tra loro una distanza spiacevole.
Al Papa erano state inviate le domande in anticipo perché potesse prepararsi e riflettere. Si ricordano i suoi fogli appuntati con la sua piccola grafia, una parola, un versetto biblico, poche annotazioni, segno però di una sua seria attenzione. Al momento delle riprese il Papa non seguiva però alcuna sceneggiatura, parlava in modo libero e spontaneo guardando in faccia Wenders grazie all’espediente tecnico. Questo “stratagemma” originale ha umanizzato le riprese delle interviste, abbattendo efficacemente la barriera emotiva tra intervistato e intervistatore, e amplificando l’esperienza di coinvolgimento dello spettatore.
Le riprese con Papa Francesco
Fondamentale in questo progetto è stata la piena adesione del Santo Padre. Il Papa si prese del tempo per valutare il lavoro, una volta presentato nel dettaglio. Espresse poi la sua partecipazione in maniera convinta, consapevole della portata comunicativa del progetto. Naturalmente il suo impegno maggiore è stato quello di rendersi disponibile con la troupe per le sedute di ripresa in Vaticano: inizialmente erano previste tre interviste, divenute poi quattro su richiesta di Wenders, girate tra la metà di marzo 2016 e l’agosto 2017. Alla fine, sono state realizzate in totale 8 ore di girato con papa Francesco – considerando le varie camere, un totale di 20 ore – e 6 ore ad Assisi, con una hand camera della Twenties, seguendo la suggestione stilistico-narrativa di Wenders.
Il primo incontro avvenne il 16 marzo 2016 in quello che in Vaticano si chiama comunemente il “Fungo”, un luogo tra Santa Marta e l’Aula Paolo VI. Un momento molto emozionante per Wenders e per la troupe: prima che arrivasse il Papa si percepiva nitidamente la tensione tra i presenti, ma appena Bergoglio mise piede nella piccola sala stringendo la mano uno a uno a tutti con gentilezza, disponibilità e un gran sorriso in volto; la tensione cedette subito il passo alla semplicità dei rapporti.
La seconda seduta si tenne il 24 maggio 2016 presso la Sala Ducale nel Palazzo Apostolico, mentre la terza ripresa, il 26 agosto 2016, era stata fissata nei Giardini Vaticani. Quando il film era già nella sua fase di montaggio Wenders scrisse per manifestare «l’assoluta necessità» di un’altra intervista col Papa per completare al meglio il film: di tutte le domande fatte non ce n’era una da poter utilizzare efficacemente come chiusura. Grazie nuovamente all’estrema disponibilità mostrata dal Pontefice si riuscì così a organizzare velocemente un’ultima seduta di riprese il 7 agosto 2017. In quell’occasione Wenders specificò al Papa quale fosse stato il problema che aveva condotto alla richiesta di una nuova intervista: Bergoglio prima del giro di manovella gli replicò: «Non posso salutare, dobbiamo trovare un vero finale, ma tu non chiedermi niente». Verso la fine dell’intervista a un certo punto il Papa cambiò improvvisamente argomento uscendosene con la frase «gli artisti sono un regalo della bellezza», aggiungendo che essi hanno l’abilità, il senso della bellezza e dell’umorismo. Lui stesso, con una risata, ha poi trovato il giusto senso dell’umorismo per concludere: salutò persino con la mano, offrendo al film un bellissimo finale.
Dal Festival di Cannes ai cinema di tutto il mondo
Il 13 maggio, Papa Francesco. Un uomo di parola fu proiettato, in anteprima mondiale, al 71° Festival di Cannes alla presenza dello stesso delegato generale del Festival Thierry Frémaux. Pochi giorni dopo, il 18 maggio, il documentario era nelle sale cinema degli Stati Uniti; il buon successo di pubblico riscontrato in Nordamerica fu replicato poi a distanza di un mese nei Paesi europei di lingua tedesca (Svizzera, Germania, Austria). Per l’Italia si scelse la data simbolica del 4 ottobre, san Francesco d’Assisi, realizzando un’uscita evento del film in 350 sale.
Inoltre va ricordata la proiezione speciale al Festival de L’Avana a Cuba e la presentazione al Meeting di Rimini nell’agosto 2018. Proprio quest’ultima fu un’occasione particolarmente significativa in cui poter offrire qualche anticipazione del documentario al pubblico italiano, impreziosita da un videomessaggio che Wenders volle inviare appositamente per quell’occasione: «Tutto quello che io ho da dire –indicava il regista– è nel film e lo vedrete, lo ascolterete, quando sarete tutti faccia a faccia, no, di più, occhi negli occhi, con un uomo molto coraggioso, molto umile e molto gentile, papa Francesco. Una vera roccia, come Cristo chiamava Pietro».
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