La carezza del Papa ai cristiani martiri dell'Iraq
ANDREA TORNIELLI
Se la visita a Ur dei caldei ha avuto un valore simbolico per tutto il Medio Oriente e il mondo intero, le tappe di oggi a Mosul e Qaraqosh nell’ultima giornata piena di questo storico viaggio in Iraq, il più importante del pontificato, hanno il valore della testimonianza.
Nella zona più cristiana del Paese, migliaia di famiglie hanno dovuto abbandonare le loro case e tutto ciò che avevano di fronte alla furia del fanatismo. La grande chiesa dell’Immacolata Concezione che ha accolto Papa Francesco era stata trasformata in una base di addestramento dall’Isis.
C’era una statua di san Giuseppe semidistrutta ad accogliere il Successore di Pietro venuto a confermare nella fede queste comunità ma anche ad esserne a sua volta confermato dalla loro testimonianza fino all’effusione del sangue.
“Anche in mezzo alle devastazioni del terrorismo e della guerra, possiamo vedere, con gli occhi della fede, il trionfo della vita sulla morte”, ha detto Francesco, invitando a “risanare non solo gli edifici, ma prima ancora i legami che uniscono comunità e famiglie, giovani e anziani”.
La guerra, il terrorismo, l’odio, hanno lasciato ferite profonde nei cuori, non soltanto macerie, capitelli divelti e Madonne dalla testa mozzata. Il Papa ha ricordato che il perdono “è necessario per rimanere nell’amore, per rimanere cristiani”
L’abbraccio dei cristiani che insieme ad altri concittadini hanno sofferto la persecuzione, unito a quello festoso dello stadio di Erbil, la città dove tanti di loro si sono rifugiati scappando dall’Isis sono il sigillo di una visita che tutti avevano sconsigliato al Papa di fare.
Ma il Vescovo della Chiesa di Roma, nata dal sangue dei martiri, non poteva deludere questi suoi figli. Ed ha affrontato ogni rischio per portare loro la sua carezza.
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