“Avete bisogno di un Messia”
Laura De Luca – Città del Vaticano
Che cosa dovette comportare oltre 2000 anni fa essere giovani proprio ai tempi di Gesù? Sapere di poterlo vedere, o di averlo potuto sfiorare magari inconsapevolmente? Avere immaginato attorno alla sua persona entusiasmanti sviluppi politici di liberazione o avere intravisto in lui davvero solo e semplicemente ciò che era: il figlio di Dio, il Messia.
Emozioni diverse, magari contrastanti, ma certamente nel fermento di un’epoca unica nella storia dell’uomo.
I giovani di quella generazione lo acclamarono festosi, in parte ignari, al suo ingresso a Gerusalemme, quando iniziava la settimana culminante della sua vicenda terrena, quando si avvicinava la sua fine e, insieme, la sua gloria, quando ritornava attorno alla sua persona una questione eterna, quella che riassunse Paolo VI la Domenica delle Palme dell’anno 1972, 26 marzo:
…La questione, che si era polarizzata sul giovane Rabbi di Galilea, Gesù, era questa: è o non è colui che noi aspettiamo; o ne dobbiamo aspettare un altro? (Matth. 11, 3) È o non è il Cristo? il Messia che deve venire? Se leggete il Vangelo, voi vedete che intorno a questa alternativa si svolge il dramma di Gesù. Non solo di Gesù, ma del Popolo; e non solo di quel Popolo, ma di tutta l’umanità; il nostro stesso dramma, di noi che qui siamo; il dramma del mondo di oggi e di domani; perché in questo dramma si decide se Gesù è veramente il mandato da Dio, se Egli è il Salvatore del mondo, se è il nodo in cui si concentrano e si risolvono tutte le questioni vitali dell’uomo, d’ogni uomo del nostro pianeta.
Nel decennio del XX secolo in cui i giovani maturavano scontenti e proteste, papa Paolo VI restituiva dunque attualità a quella domanda che doveva agitarsi nei cuori dei ragazzi di Gerusalemme quando acclamavano Gesù. E creava un collegamento, fra le inquietudini di due epoche fra loro così lontane ma anche così vicine…
Voi conoscete meglio di chiunque altro questo vasto e complesso fenomeno della inquietudine giovanile; e noi non ve lo stiamo ora a descrivere. Solo a noi sembra di poter scorgere qualche cosa di profondamente interessante in codesta inquietudine, la sincerità cioè dei vostri animi, che non temono di denunciare il vuoto che la vita moderna non solo lascia, ma scava dentro di voi. Un vuoto privo di idee vere e forti, privo di ragioni degne di dare alla vita un senso, un valore, una fede. Sentite la sofferenza della fatuità a cui vi ha indirizzato una concezione scettica ed edonistica della vita, della quale concezione le generazioni precedenti sono state, in non lieve misura, stolte maestre. Avete cercato, forse, in atteggiamenti contestatari quegli ideali trascendenti e quelle prove di coraggio e di eroismo a cui la vostra età - e, diciamo di più, lo spirito umano - si sente candidato. Avete un bisogno «messianico» in fondo ai vostri cuori, che la nostra storia, di derivazione cristiana, ha vivamente svegliato nella vostra psicologia, e la nostra società secolarizzata ha, sotto certi riguardi, completamente deluso. Ebbene, la festa delle Palme, alla quale vi abbiamo chiamati, intende rispondere, una volta di più e con pienezza, allo spazio interiore dei vostri spiriti. Avete, senza forse che ne avvertiate la sublime esigenza, bisogno di un Messia, d’un vero Messia. Noi ve lo annunciamo, semplicemente, solennemente. Il Messia di cui avete bisogno, e di cui il mondo sperimenta la nostalgia e la carenza, è Gesù, Gesù, il Cristo.
Quasi venticinque anni dopo, il papa “dei giovani”, la domenica delle Palme dell’anno 1986 dà ormai per scontata la partecipazione tutta contemporanea delle giovani generazioni alla Pasqua di Gesù. Da sacerdote aveva accompagnato ragazzi e ragazze nella pastorale universitaria, da papa li coinvolge e se ne lascia coinvolgere fin dall’inizio del pontificato.
La partecipazione dei giovani all’avvenimento della Domenica delle Palme si è fissata nella tradizione. Ne rende testimonianza anche Roma e specialmente questa Piazza di san Pietro. Tale testimonianza è stata particolarmente significativa negli ultimi due anni: nell’anno del Giubileo della Redenzione e nell’Anno Internazionale della Gioventù. Oggi siete qui di nuovo, cari giovani amici, per iniziare a Roma, in Piazza san Pietro, la tradizione della Giornata della Gioventù, alla cui celebrazione è stata invitata la Chiesa intera. Di tutto cuore vi do il benvenuto, e saluto tutti coloro che sono giunti qui non soltanto da Roma e dall’Italia, ma anche da più lontano. So che sono qui presenti giovani della Spagna, della Francia, della Svizzera, della Jugoslavia, della Germania, dell’Austria e di altri Paesi.
Saluto tutti voi qui presenti. Nello stesso tempo insieme con voi saluto tutti coloro che non sono qui presenti, ma che oggi - o in altro giorno dell’anno, secondo le varie circostanze - manifestano quest’unità che è la Chiesa di Cristo nella comunità dei giovani. Quindi oggi do il mio saluto a tutti coloro che dappertutto - in qualsiasi paese di ciascuno dei cinque continenti - celebrano la Giornata della Gioventù. Il punto di riferimento per questa Giornata rimane, ogni anno, la Domenica delle Palme.
L’anno prima, la domenica delle Palme del 1985, il 31 marzo, si era riversata dai cinque continenti in Vaticano una folla di oltre trecentomila ragazzi, con la “Croce dell’Anno Santo”, accorsi per il grande raduno dei giovani in occasione dell’Anno Internazionale della Gioventù, proclamato dall’Onu. A dicembre dello stesso anno, durante gli auguri alla Curia Romana, il Papa confesserà di avere ancora negli occhi le immagini dell’incontro di quella “assemblea di giovani di tutte le razze e provenienze” in san Giovanni in Laterano Non una “massa anonima” o di “numero, ma presenza viva e personale” che “prese parte con gioia travolgente e composta, in un atto comunitario di amore e di fede a Cristo Signore”. E istituirà proprio allora la Giornata Mondiale della Gioventù, diretta filiazione dell’entusiasmo della domenica delle Palme.
25 anni prima, il 10 aprile del 1960, la celebrazione delle Palme era invece venata di inquietudine. Papa Giovanni XXIII non poteva non pensare alle tante situazioni in cui nel mondo Cristo continua ad essere perseguitato...
Che è mai ciò che continua a succedere in tante parti del mondo da Noi ben conosciute, e che lungi dal diminuire si aggrava in forme penosissime ed estenuanti?
Che è mai ciò che viene riferito dalla stampa mondiale, e continua a far gemere vaste regioni, che nel loro complesso si è convenuto chiamare Chiesa del silenzio?
La sollecitudine per queste porzioni del gregge di Cristo, predilette al Nostro spirito perché più vicine al Signore nelle loro sofferenze, Ci è spina acuta del cuore, e voi non troverete strano che sovente ritorni nelle Nostre parole l'accorata deplorazione per le oppressioni morali e fisiche di cui sono oggetto gli abitanti di regioni avviate all'esercizio delle loro elementari ed umane libertà e a godersi i frutti del buon lavoro, della giustizia e della pace.
Seguire liberamente Gesù come i ragazzi in festa alle porte di Gerusalemme può non essere così scontato, in tante parti del mondo, ancora oggi. Ma anche se fisicamente non ci è impedito, se in apparenza esiste libertà di pensiero e di credo, c’è dell’altro che ci impedisce, oggi, di comprendere davvero fondo il sacrificio di Cristo. E di aderire liberamente al suo Vangelo. Ci sono altre drammatiche schiavitù, meno visibili, che incatenano tutti noi, giovani e non solo. Questo ci ricorda Benedetto XVI la Domenica delle Palme del 2007. Primo aprile:
All’inizio, con i primi discepoli, (…) queste persone avevano deciso di lasciare la loro professione, i loro affari, tutta la loro vita per andare con Gesù. (…)Ma con ciò si palesa anche che cosa significhi per noi la sequela e quale sia la sua vera essenza per noi: si tratta di un mutamento interiore dell’esistenza. Richiede che io non sia più chiuso nel mio io considerando la mia autorealizzazione la ragione principale della mia vita. Richiede che io mi doni liberamente a un Altro – per la verità, per l’amore, per Dio che, in Gesù Cristo, mi precede e mi indica la via. Si tratta della decisione fondamentale di non considerare più l’utilità e il guadagno, la carriera e il successo come scopo ultimo della mia vita, ma di riconoscere invece come criteri autentici la verità e l’amore. Si tratta della scelta tra il vivere solo per me stesso o il donarmi – per la cosa più grande. E consideriamo bene che verità e amore non sono valori astratti; in Gesù Cristo essi sono divenuti persona. Seguendo Lui entro nel servizio della verità e dell’amore. Perdendomi mi ritrovo.
Ascolta la puntata di “Le voci dei papi” dedicata alla Domenica delle Palme, in onda domenica 28 marzo 2021
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