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Monsignor Juan Ignacio Arrieta, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, mentre saluta Papa Francesco Monsignor Juan Ignacio Arrieta, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, mentre saluta Papa Francesco

Arrieta: dati ai vescovi i mezzi adeguati per prevenire e punire i reati nella Chiesa

Il segretario del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi presenta la Costituzione apostolica "Pascite gregem Dei". A Vatican News: "Fondamentale lo spostamento del reato di abusi ai minori nella categoria in cui si ritrovano i reati di omicidio e di aborto e i reati contro la vita, la libertà e la dignità della persona"

Giancarlo La Vella - Città del Vaticano

Una “adeguata determinatezza” delle norme penali per conferire indicazioni precise e sicure a chi le deve applicare. “La protezione della comunità” e l’attenzione per “la riparazione dello scandalo e per il risarcimento del danno”. Fornire ai vescovi “i mezzi necessari” per poter prevenire i reati e intervenire per tempo nella correzione di situazioni che potrebbero diventare più gravi. Sono questi i criteri e gli obiettivi che hanno orientato i lavori per redigere la “Pascite gregem Dei”, la Costituzione apostolica con la quale il Papa modifica il Libro VI del Codice di Diritto Canonico. Ad illustrarli è monsignor Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, che – nella presentazione in Sala Stampa vaticana - sottolinea: “Degli 89 canoni che compongono il Libro VI, ne sono stati modificati 63 (il 71%), spostati altri 9 (10%) mentre ne rimangono immutati solo 17 (19%)”. Sono stati incorporati al Codice - spiega il presule - “reati tipizzati in questi ultimi anni in leggi speciali, come la tentata ordinazione di donne; la registrazione delle confessioni; la consacrazione con fine sacrilego delle specie eucaristiche”. Inoltre - osserva - sono state incorporate “alcune fattispecie presenti nel Codex del 1917 che non vennero accolte nel 1983. Ad esempio, la corruzione in atti di ufficio, l’amministrazione di sacramenti a soggetti cui è proibito amministrarli; l’occultamento all’autorità legittima di eventuali irregolarità o censure in ordine alla ricezione degli ordini sacri. A queste vanno aggiunte alcune fattispecie nuove, come ad esempio la violazione del segreto pontificio; l’omissione dell’obbligo di eseguire una sentenza o decreto penale; l’omissione dell’obbligo di dare notizia della commissione di un reato; l’abbandono illegittimo del ministero. In modo particolare, sono stati tipizzati reati di tipo patrimoniale come l’alienazione di beni ecclesiastici senza le prescritte consultazioni; o i reati patrimoniali commessi per grave colpa o grave negligenza nell’amministrazione”. A Vatican News, monsignor Arrieta spiega nel dettaglio l’iter che ha portato alla riforma del Pontefice e le novità rispetto al passato che essa introduce. 

Monsignor Arrieta, perché si è resa necessaria una revisione del Libro VI del Codice di Diritto canonico? 

Subito dopo la promulgazione del Codice, nel 1983, si videro alcuni dei limiti di questo Libro. Era in quel momento volontà generale lasciare i testi in una formulazione indeterminata, consentendo ai vescovi e ai superiori, che erano coloro che avrebbero dovuto applicare il Codice, di determinare volta per volta quando e come dover punire. L’esperienza immediata di pochi anni dopo fece notare come questo portasse a una grande difficoltà, da parte di chi doveva operare con le norme penali, e anche a una disparità di valutazione, a una mancata uniformità di risposta perché ognuno valutava in modo disomogeneo. Questo portò, purtroppo, a lentezze che obbligarono poi la Santa Sede a intervenire stabilendo la giurisdizione straordinaria ed esclusiva della Congregazione per la Dottrina della Fede per i delitti riservati e altri provvedimenti. La mancata applicazione del Codice per i limiti e le difficoltà che c’erano nel testo, obbligarono la Santa Sede a intervenire in vasti ambiti del diritto penale. Questo perché è stato l’unico settore del Codice di Diritto Canonico che, pur essendo stato profondamente modificato, non aveva avuto – come altri – un periodo di sperimentazione nel periodo post-conciliare, con norme transitorie; il penale, purtroppo, fu promulgato direttamente, senza questa esperienza, nel 1983.

Quali sono le principali novità di queste revisioni?

Da una parte, nel testo si determinano con maggiore precisione i comportamenti che devono avere le autorità, i vescovi, i superiori, quando devono applicare la norma e i criteri che devono seguire per scegliere una pena o un’altra: quindi, una determinazione del diritto penale che prima mancava, come ho detto. Una seconda attenzione è alla comunità: quello che si è visto è che il diritto penale è importante anche per preservare la comunità dei fedeli, rimediare allo scandalo causato e quindi anche riparare il danno. Il terzo aspetto è fornire all’autorità gli strumenti perché si possa, per tempo, prevenire i reati, modificare le condotte ed evitare anche il danno che il Papa menziona nella Costituzione apostolica. 

Papa Benedetto XVI ha avviato nel 2007 la revisione della normativa penale contenuta nel Codice del 1983, promulgata da San Giovanni Paolo II. È stato un lungo processo, giunto ora alla sua conclusione, che ha coinvolto Dicasteri della Curia, Conferenze episcopali, superiori religiosi e canonisti di tutto il mondo… 

Effettivamente, Papa Benedetto – che aveva un’esperienza pluridecennale come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – era ben consapevole dei limiti di questa disciplina penale, ed è per questo che già nel 2007 diede incarico per cominciare gli studi della revisione. Fare una legge adeguata alle necessità della Chiesa – anche questa è una legge perfettibile, come tutte le leggi umane – però, trattandosi della Chiesa che è presente in cinque continenti e in svariate culture, richiedeva per necessità una consultazione molto ampia. Sono state consultate tutte le Conferenze episcopali, che hanno risposto molto generosamente; tutti i Dicasteri, tutte le facoltà … Abbiamo fatto, in questi anni, tante esposizioni del processo di lavoro e sono anche pervenute spontaneamente tante osservazioni. Si è fatto un lavoro davvero collegiale, proattivo perché sono stati ascoltati tutti coloro che hanno voluto intervenire. È stato fatto un ampio resoconto a tutti, man mano che i lavori procedevano. Naturalmente, quando Papa Francesco ha confermato questi lavori e ci ha chiesto di continuare e adesso abbiamo finito.

Papa Francesco, nella Costituzione apostolica che riforma il Libro VI del Codice di diritto canonico, afferma che “ha causato molti danni la mancata percezione dell’intimo rapporto esistente nella Chiesa tra l’esercizio della carità e il ricorso, ove le circostanze e la giustizia, lo richiedano, alla disciplina sanzionatoria”…

Era nell’ambiente. Se uno scorre le pubblicazioni degli Anni Settanta, quando si stava lavorando al Diritto penale, si vede un atteggiamento troppo ingenuo sulla fattibilità, nella Chiesa, del Diritto penale. Si discuteva allora tra canonisti e teologi della incompatibilità tra la carità e l’esercizio delle pene. Sono cose scritte che si possono trovare in molte riviste, in molti libri dell’epoca. Evidentemente, i fatti hanno poi rivelato che questo era erroneo, e anche Benedetto XVI aveva segnalato quello che ha ribadito Papa Francesco, che non c’è effettivamente una contrapposizione tra la carità e la pena, anzi: come l’esercizio del governo pastorale, la caritas pastoralis, deve portare all’impiego del Diritto penale quando è necessario, proprio per correggere chi ha torto e per evitare danni alla comunità. Quindi è proprio un’esigenza della caritas pastoralis ed è per questo che il Papa sottolinea molto nella Costituzione apostolica il fatto che il Diritto penale dev’essere adoperato come uno strumento in più nel governo pastorale pieno di carità nella propria comunità di fedeli.

Nel testo riformato sono considerati nuovi reati …

Diciamo che abbiamo introdotto nel Codice alcune pene che erano state già delineate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede o altri Dicasteri o alcuni suggerimenti su quello che non era reato fino ad oggi, dell’obbligo di denunciare reati nel caso di determinate persone. L’importante è aver dato un’attenzione nuova – perché le necessità lo esigevano - ai reati di tipo patrimoniale con l’obbligo di rimediare, di riparare al danno, di restituire; e particolarmente significativo nell’ambito dei minori è stato fondamentale da una parte lo spostamento di questo reato dagli obblighi speciali dei chierici all’interno della categoria nella quale si ritrova anche il reato di omicidio, il reato di aborto e i reati contro la vita, la libertà e la dignità della persona. Ed è significativo il modo in cui la Chiesa tratta questo tipo di reati.

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01 giugno 2021, 12:00