Migranti, Hollerich: fa male vedere gente che soffre alle porte dell’Europa
Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
La “terribile” questione dell’immigrazione, alla luce dei nuovi sbarchi e dei nuovi drammi provocati dalla pandemia, è stato uno dei temi principali del colloquio tra il Papa e i membri della presidenza della Comece, la Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione Europea, ricevuta questa mattina nel Palazzo Apostolico, a conclusione della riunione del Comitato permanente che si è svolta a Roma dal 9 giugno.
Hollerich: il Papa, un amico dell'Europa
Un’udienza ricca di spunti e prospettive future, non solo quella con il Papa ma anche con il Segretario di Stato, Pietro Parolin, e altri vescovi e cardinali dei Dicasteri di Curia. A dare sprazzi dei colloqui è il presidente dell’organismo europeo, il cardinale lussemburghese Jean-Claude Hollerich, che – a Vatican News - ha definito l’incontro con il Papa “un piacere per noi”: “Il Santo Padre conosce veramente l’Europa molto bene, è un amico dell’Europa e dà spinta alla politica europea. Ha un grande influsso! Infatti il Papa è molto considerato tra gli uomini e le donne di Bruxelles. Tutti parlano di Laudato si’ e Fratelli tutti”.
L'integrazione è possibile
E proprio il Papa ha dato indicazioni chiare ai vertici della Comece sulla difficile tematica della immigrazione, nuovamente sotto l’occhio delle cronache internazionali con i casi di Spagna e Danimarca. “L’immigrazione… è terribile”, dice Hollerich, non nascondendo il suo sconforto nel sapere di migliaia di persone alle porte dell’Europa “separate veramente da tutto”. Sulle politiche migratorie, “l’Unione Europea non avanza realmente”, afferma il porporato: “Paesi come Italia, la Spagna, Malta, Grecia, sono lasciati da soli. Questa è una vergogna per l’Europa!”.
Hollerich riporta l’esperienza del suo Paese, il Lussemburgo, che “accoglie ancora tanti migranti e rifugiati” e dimostra come “la gente si può integrare”: “Abbiamo ricevuto due famiglie rifugiate a Lesbo provenienti da Siria e Kuwait, una cristiana e una musulmana. La Chiesa paga tutte le spese. Vivono nella stessa casa, in due appartamenti separati, i ragazzi parlano già lussemburghese, quello più anziano fa un po’ più difficoltà ma ha già imparato a leggere e scrivere in inglese. È un piacere vedere che queste persone possono avere una vita sicura, felice, come noi altri. Ma dobbiamo comunque pensare anche alla moltitudine di gente che non ha questa possibilità”.
La pandemia dovrebbe insegnare a non ridurre l'umanità
“È possibile integrare”, rimarca il presidente di Comece. “La maggior parte non sono estremisti, se ci sono – è possibile – dobbiamo trattarli come tale. Ma al momento non ci sono… Dobbiamo mantenere il cuore aperto, la pandemia dovrebbe insegnarci che senza contatti sociali, noi siamo ridotti nella nostra umanità e davanti alla porta dell’Europa abbiamo gente veramente separata da tutto. Mi fa male! Dobbiamo fare qualcosa”.
Overbeck: il Mediterrano un grande cimitero, bisogna agire
“Sui migranti prima di tutto”, fa eco il vescovo di Essen, Franz-Josef Overbeck, vicepresidente di Comece, “la Chiesa dovrebbe dire: si faccia tutto quello che si può fare perché la gente possa restare nei loro Paesi, nelle loro case. Ma vedendo questi rifugiati dal Mali o dalla Libia, cosa dire? Cosa fare di fronte ad un Mediterraneo che è diventato il più grande cimitero dell’Europa? La questione migrazione è una questione che rimarrà anche nei prossimi anni, non intendo 2-3 anni ma forse cento”. “Qui sta cambiando tutto il mondo”, esclama il vescovo, che risponde alle domande dei giornalisti fuori dalla Sala Stampa vaticana, con i quali commenta le sfide – presenti e future – della Chiesa in Europa, senza far mancare uno sguardo alla Chiesa nella “sua” Germania, impegnata nel cammino sinodale e scossa dalla crisi degli abusi sessuali (“un abisso”, dice). Motivo per cui l’ex presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Reinhard Marx, ha presentato le proprie dimissioni al Papa, che ieri le ha respinte.
Dal Papa un invito all'accoglienza
Da tedesco, sempre sulla questione migranti, monsignor Overbeck ricorda l’esodo di tanti ebrei durante gli anni bui del nazismo, rifiutati in diversi Paesi: “Mai più deve succedere una cosa del genere”, afferma. E ribadisce che la linea dei vescovi europei “non cambierà”, seguendo le indicazioni di Papa Francesco che anche oggi li ha esortati all’accoglienza: “Lui conosce bene la situazione e le domande che emergono: non solo come vivere, ma come sopravvivere con la mancanza di acqua o di un’ecologia pronta a dare il necessario alla gente. Cosa facciamo? Stiamo qui buoni? Certamente non è possibile, siamo cristiani e siamo chiamati all’amore al prossimo”.
Gli aiuti della Chiesa ai Paesi in crisi
È lo stesso amore che ha spinto la Chiesa tedesca a fornire aiuti ai Paesi del mondo in crisi, a cominciare dal Venezuela, piagato da una dura crisi politica, economica e sociale: “Abbiamo inviato tonnellate di medicine, insieme con il governo. Quei popoli sono senza aiuti”.
La Chiesa in Germania, tra cammino sinodale e crisi abusi
Il pastore di Essen non si esime dalle domande dei cronisti sulla situazione in Germania, tra il cammino sinodale che ha suscitato diverse discussioni e la piaga degli abusi del clero. “Siamo una Chiesa viva che sta facendo una scelta buona per reagire in questa situazione così difficile dell’abisso degli abusi sessuali del clero su minori”, dice. “Abbiamo scelto questa via sinodale, in un certo senso anticipando la scelta che il Santo Padre ha fatto per la Chiesa universale. Siamo in una stretta ma retta via”.
"Non siamo una Chiesa scismatica"
Overbeck prende le distanze dalla dichiarazione del cardinale Marx, contenuta nella sua lettera di dimissioni, che la Chiesa è “a un punto morto”: “Il ‘punto morto’ riguarda qualche struttura della Chiesa, ma la fede va avanti con i giovani, gli anziani, in un modo nuovo. Non è tutto morto, siamo a un punto di cambio, di scegliere nuove vie”. Allo stesso modo il presule rifiuta la definizione della Chiesa tedesca come di una Chiesa potenzialmente scismatica: “Noi siamo una Chiesa viva, mai scismatica!”. E sulla questione celibato e sacerdozio femminile, al centro del Synodalerweg, afferma: “Siamo in un momento di cambiamento, anche spirituale, che significa che sia col matrimonio che col celibato dobbiamo riformulare i nostri fini”. Il celibato, in particolare, è un tema su cui riflettere perché “le vocazioni al sacerdozio diminuiscono quasi a zero, e non solo in Germania ma in tutto l’Occidente. Cerchiamo di capire cosa vuole dirci Dio e facciamo una riflessione: forse c’è qualche uomo ben educato, che è marito e può fare questo servizio. Ce ne sono alcuni nelle chiese ortodosse che già lo fanno. Io sono veramente preoccupato dell’assenza dei sacerdoti. Nei miei quasi dodici anni di episcopato, ho ordinato massimo 2-3 preti all’anno, mentre ne morivano altri 20-30. Così perdiamo il carattere sacramentale”.
Un Concilio Vaticano III? Non è tempo
Temi complessi ma fondamentali, secondo il vicepresidente di Comece. Non al punto, però, di convocare un Concilio Vaticano III che li ponga all’attenzione della Chiesa universale: “Siamo in una fase di azione forse finale del Vaticano II, non della preparazione del terzo. Ci sono così tanti punti teologici e dogmatici o punti essenziali, come la libertà religiosa o la ‘vita vitale’ della Chiesa di fronte alla gente, che devono ancora essere elaborati. Per me, non è certamente tempo di un Concilio Vaticano III”.
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