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Il Papa: solo una Chiesa libera da paure, ipocrisie e potere è una Chiesa credibile

Francesco celebra la messa per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo, testimoni di "una Chiesa liberata". Pietro, liberato dal “senso della sconfitta” e dalle “insicurezze”; Paolo, liberato dalle “ipocrisie dell’esteriorità” e dalla “tentazione di imporci con la forza del mondo”. Benedetti i Palli per gli arcivescovi metropoliti. Il saluto alla delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli

Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano

Liberi, perché “solo una Chiesa libera è una Chiesa credibile”. Liberi, anzi, liberati come Pietro, dal “senso della sconfitta”, dalla “paura che ci immobilizza”, dalle “insicurezze”. Liberati, come Paolo, dalle “ipocrisie dell’esteriorità”, dalla “tentazione di imporci con la forza del mondo”, da “un’osservanza religiosa che ci rende rigidi e inflessibili” e dai “legami ambigui col potere”. Papa Francesco celebra la messa nella Basilica vaticana per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo, “due colonne portanti della Chiesa”, due “testimoni" e "giganti della fede”.

La benedizione dei Palli 

Il Pontefice entra in processione mentre il coro intona il canto “Tu es Petrus”. Nella Basilica gremita da fedeli – rispettosi delle normative di sicurezza -, sono presenti vescovi e cardinali ed è presente la delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, guidata dal metropolita di Calcedonia Emmanuel, venuta a Roma per il tradizionale scambio di delegazioni nelle feste dei rispettivi patroni. All’inizio della celebrazione, quattro diaconi scendono nella Confessione dell’Apostolo Pietro e prendono i Palli che saranno imposti poi agli arcivescovi metropoliti nominati quest’anno dai nunzi delle diverse sedi. Il Papa benedice questi segni “scelti a simboleggiare la realtà della cura pastorale”, nell’auspicio che coloro che li indosseranno possano “riconoscersi come pastori del tuo gregge”.

I due Apostoli, guariti da Cristo

Nell’omelia, il Papa ricorda la testimonianza dei due Apostoli: “Al centro della loro storia non c’è la loro bravura, ma l’incontro con Cristo che ha cambiato la loro vita. Hanno fatto l’esperienza di un amore che li ha guariti e liberati e, per questo, sono diventati apostoli e ministri di liberazione per gli altri”. Proprio la libertà è ciò di cui necessita la Chiesa.

“Abbiamo sempre bisogno di venire liberati, perché solo una Chiesa libera è una Chiesa credibile.”

Pietro, liberato dalle paure e dal senso di fallimento

Pietro e Paolo sono liberi, ma perché “liberati”, sottolinea il Vescovo di Roma. Pietro, il pescatore di Galilea, è stato anzitutto liberato dal “senso di inadeguatezza e dall’amarezza del fallimento”, grazie all’“amore incondizionato di Gesù”:

Pur essendo un esperto pescatore, ha sperimentato più volte, nel cuore della notte, il gusto amaro della sconfitta per non aver pescato nulla e, davanti alle reti vuote, ha avuto la tentazione di tirare i remi in barca; pur essendo forte e impetuoso, si è fatto prendere spesso dalla paura; pur essendo un appassionato discepolo del Signore, ha continuato a ragionare secondo il mondo senza riuscire a comprendere e accogliere il significato della Croce del Cristo; pur dicendosi pronto a dare la vita per Lui, gli è bastato sentirsi sospettato di essere dei suoi per spaventarsi e arrivare a rinnegare il Maestro.

Eppure Gesù “lo ha amato gratuitamente” e “ha scommesso su di lui”. “Lo ha incoraggiato a non arrendersi, a gettare ancora le reti in mare, a camminare sulle acque, a guardare con coraggio alla propria debolezza, a seguirlo sulla via della Croce, a dare la vita per i fratelli, a pascere le sue pecore”. Così l’apostolo è stato “liberato dalla paura, dai calcoli basati sulle sole sicurezze umane, dalle preoccupazioni mondane, infondendogli il coraggio di rischiare tutto e la gioia di sentirsi pescatore di uomini”. “Ha chiamato proprio lui a confermare nella fede i fratelli”.  È dunque, quella di Pietro, una “storia di apertura, di liberazione, di catene spezzate, di uscita dalla prigionia che rinchiude”, come quella del popolo di Israele liberato dal giogo della schiavitù d’Egitto. “Pietro fa l’esperienza della Pasqua: il Signore lo ha liberato”, dice il Papa.

Paolo, liberato dal suo "io" e dalla rigidità

Allo stesso modo, l’Apostolo Paolo ha sperimentato la liberazione di Cristo. È stato liberato da una schiavitù ancora “più opprimente”, quella del suo “io”, come pure “dallo zelo religioso che lo aveva reso accanito nel sostenere le tradizioni ricevute e violento nel perseguitare i cristiani. Era un violento”.

L’osservanza formale della religione e la difesa a spada tratta della tradizione, invece che aprirlo all’amore di Dio e dei fratelli, lo avevano irrigidito. Era un fondamentalista. Da questo Dio lo liberò; e, invece, non gli risparmiò tante debolezze e difficoltà che resero più feconda la sua missione evangelizzatrice: le fatiche dell’apostolato, l’infermità fisica; le violenze e le persecuzioni, i naufragi, la fame e la sete.

Il Papa e i delegati del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli al sepolcro di Pietro
Il Papa e i delegati del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli al sepolcro di Pietro

Due giganti della fede

Questi due “giganti della fede” hanno quindi “liberato la potenza del Vangelo nel mondo, solo perché sono stati prima liberati dall’incontro con Cristo”. “Egli non li ha giudicati, non li ha umiliati, ma ha condiviso la loro vita con affetto e vicinanza, sostenendoli con la sua stessa preghiera e, qualche volta, richiamandoli per scuoterli al cambiamento”. Gesù fa così anche con ognuno di noi.

“Ci assicura la sua vicinanza pregando per noi e intercedendo presso il Padre; e ci rimprovera con dolcezza quando sbagliamo, perché possiamo ritrovare la forza di rialzarci e riprendere il cammino”

Una Chiesa debole ma forte per la presenza di Dio 

“Come Pietro – dice Papa Francesco -, siamo chiamati a essere liberi dal senso della sconfitta dinanzi alla nostra pesca talvolta fallimentare; a essere liberi dalla paura che ci immobilizza e ci rende timorosi, chiudendoci nelle nostre sicurezze e togliendoci il coraggio della profezia”. “Come Paolo - aggiunge -, siamo chiamati a essere liberi dalle ipocrisie dell’esteriorità; a essere liberi dalla tentazione di imporci con la forza del mondo anziché con la debolezza che fa spazio a Dio; liberi da un’osservanza religiosa che ci rende rigidi e inflessibili; liberi dai legami ambigui col potere e dalla paura di essere incompresi e attaccati”.

Dunque l’immagine di Chiesa che i due Apostoli restituiscono è l’immagine di una Chiesa “debole, ma forte della presenza di Dio”; una Chiesa “liberata che può offrire al mondo quella liberazione” dal peccato, dalla morte, dalla rassegnazione, dal senso dell’ingiustizia e, soprattutto, dalla “perdita della speranza che abbruttisce la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo”.

“Le nostre città, le nostre società, il nostro mondo, quanto hanno bisogno di liberazione? Quante catene vanno spezzate e quante porte sbarrate devono essere aperte!”

Il saluto alla delegazione del Patriarcato di Costantinopoli

A conclusione dell’omelia, il Papa rivolge un pensiero agli arcivescovi che ricevono il Pallio: “Questo segno di unità con Pietro ricorda la missione del pastore che dà la vita per il gregge”. Poi saluta la Delegazione del Patriarcato Ecumenico, inviata da Bartolomeo: “La vostra gradita presenza è un prezioso segno di unità nel cammino di liberazione dalle distanze che scandalosamente dividono i credenti in Cristo”, dice il Papa. E con il metropolita Emmanuel, accompagnato dal metropolita greco ortodosso di Buenos Aires, Iosif Bosch, e dal diacono patriarcale, Barnabas Grigoriadis, si reca alla statua bronzea di San Pietro per soffermarsi alcuni istanti in preghiera.

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Messa del Papa per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo
29 giugno 2021, 10:20