Cipro, un Paese alle prese con l’aumento dei migranti
di Andrea Sarubbi
Federico Ribechi, trentunenne nato a Torino e cresciuto a Roma, è a Cipro da tre anni e mezzo. Laurea triennale in Scienze Politiche in Italia, poi un master in Belgio con tesi sulle migrazioni, quindi — a maggio 2018 — l’arrivo a Nicosia, per svolgere l’anno di volontariato internazionale dell’Unione europea. È di poco dopo l’incontro con la Caritas, che ad aprile 2019 lo assume come coordinatore del Migrant Center. «Si sono resi conto di avere bisogno delle mie competenze — ci dice — e anche di uno che parlasse fluentemente il francese come me, perché la popolazione dei migranti a Cipro stava cambiando».
Che cosa, precisamente, è cambiato negli ultimi anni?
Quando sono arrivato da volontario, la Caritas aveva un migliaio di migranti registrati; oggi sono diecimila. I campi sono diventati tre: uno piccolo, Kofinou, creato originariamente per i Siriani; uno grande, Purnara, creato due anni fa, dove passa chiunque debba presentare la richiesta d’asilo: infine un terzo, Limnes, di cui però si sa poco, perché nessun migrante è ancora uscito da lì e le ong non possono entrare.
Sono cambiate anche le provenienze?
Sì, decisamente. Prima gli arrivi a Cipro erano soprattutto dal mondo arabo o del Medio Oriente: la Siria in preda alla guerra, l’Iraq, la Giordania, il Libano. C’era anche una buona componente del subcontinente indiano: la stessa India, il Pakistan, il Bangladesh e così via. Poi, a fine 2016, è scoppiata la guerra in Camerun tra i francofoni e gli anglofoni, che ha provocato la fuga di molte persone verso l’Europa. Passando non per la Libia, ma per la Turchia: mille euro di visti per poi arrivare alla parte turca di Cipro, dove un solo filo spinato ti separa dall’Unione europea. Attraversarlo è certamente illegale, ma molto meno pericoloso del Mediterraneo. Così ora stanno arrivando gli africani — non solo dal Camerun, ma anche da Repubblica Democratica del Congo e Nigeria — che attualmente sono la maggioranza dei migranti presenti sull’isola.
Varie destinazioni di sbarco, come Grecia e Italia, sono spesso Paesi di transito: i migranti hanno in mente magari la Francia, la Germania, il Regno Unito, il nord Europa. Con Cipro, però, è più complicato.
Il problema è proprio questo. Cipro è infatti facilissima da raggiungere, ma difficilissima da lasciare. Non esiste, per esempio, la possibilità di tentare la fortuna con una barca, perché Turchia e Grecia controllano molto bene le loro coste. E chiaramente, una volta entrati illegalmente in Unione europea, i migranti non possono prendere un aereo in incognito: così alcuni cercano la via del passaporto falso, ma molte volte vengono arrestati e ritornano nei centri di detenzione. Insomma, il risultato è che la popolazione migrante di Cipro continua a crescere.
È questo dei migranti il problema più sentito a Cipro?
No. Al limite è il secondo, ma il primo — almeno per il governo — resta la divisione dell’isola. Io la respiro tutti i giorni, andando al lavoro: il retro della nostra chiesa è infatti all’interno della zona cuscinetto, controllata dall’Onu. Edifici abbandonati, tracciato totalmente irregolare, qualche sentinella di qua e di là: un posto spettrale, davvero.
Nel 2004 ci fu un referendum per riunire l’isola, bocciato dai ciprioti. La parte turca votò per il sì, ma quella greca — che è stragrande maggioranza — lo respinse. Perché la riunificazione sembra oggi così lontana?
Una ragione è politica e storica, facilmente comprensibile; l’altra, più nascosta, è pragmatica e riguarda il benessere. I greco-ciprioti sono nell’Unione europea e non se la passano per niente male: qui nella parte meridionale di Cipro non si vedono persone che vivono in strada, per esempio. Hanno creato uno Stato economicamente solido (il turismo funziona, la finanza è alle stelle), il loro reddito pro capite è più alto di quello della stessa Grecia — non è un caso che molti greci vengano a Cipro, perché si vive bene e si guadagna di più — e non hanno nessuna intenzione di dividere tutto ciò con la parte turca. Da parte loro, i turco-ciprioti sono vittime della situazione: minoranza al nord, dove stanno arrivando molti turchi dalla madrepatria, e respinti al sud, dove a molti viene negato il passaporto per il semplice fatto di avere genitori turchi.
Questo non dà l’idea di una convivenza facile.
Sul piano etnico, non molto: soprattutto per i risvolti politico-economici di cui dicevo. Su quello religioso, invece, nessun problema, perché nell’isola c’è posto per tutti. La parte meridionale di Cipro è multietnica e con credi diversi: ortodossi, cattolici di rito latino, maroniti, una grande comunità armena, ma anche tantissimi musulmani. Ma d’altra parte l’isola è stata sempre così, dal punto di vista storico.
Che cosa significa, in questo momento, l’arrivo del Papa?
Per molti migranti sarà un momento speciale: ho chiamato varie persone per invitarle alla preghiera ecumenica che avremo qui venerdì pomeriggio, nella parrocchia della Santa Croce, e alcuni non riuscivano nemmeno a crederci. Personalmente trovo questa visita un bellissimo gesto, e credo che Francesco lo abbia fatto per dare un messaggio duplice: per far ricordare ai cristiani che la situazione migratoria ci mette davanti alla serietà della nostra fede, e per dire alle istituzioni che l’umanità e l’accoglienza sono l’unica risposta possibile, in un’epoca in cui un pezzo d’Europa reagisce invece con le violenze e con i muri.
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