Non fermarsi alla cura ma donare anche conforto e vicinanza
Marina Tomarro - Città del Vaticano
“Incontrare oggi Papa Francesco è stato un respiro di speranza, un abbraccio che è arrivato forte, un pensiero presente e la certezza che non siamo soli nel calvario della malattia”. Chiara è una giovane mamma che sta lottando insieme al figlio ricoverato al policlinico Gemelli. Questa mattina lei e il suo bambino erano presenti in prima fila alla Messa che Papa Francesco ha celebrato all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Mano nella mano senza lasciarsi un attimo.
Il conforto e la memoria
Le parole pronunciate nell’omelia dal Pontefice, sono diventate un balsamo che risana le ferite lasciate dalle malattie e asciugato le tante lacrime versate. “Il Papa ha parlato di conforto – dice Guido Greco, giovane studente di Medicina e Chirurgia – e questa cosa mi ha molto colpito. Confortare un paziente vuol dire essere dalla sua parte, cercare di aiutarlo nella sua patologia, soprattutto in quei casi in cui si tratta di malattie rare e quindi le cure sono più difficoltose. In quei casi diventa particolarmente importante aiutarlo anche facendogli sentire la nostra vicinanza alla situazione che vive”. Oltre al conforto, il Papa ha messo in evidenza altre due parole: la memoria e la passione per ciò che si fa. “Queste parole sono il fulcro del nostro lavoro universitario – sottolinea Vanda Lattanzi, docente di Biologia applicata –. In particolare il ricordo che lasciamo nei pazienti che curiamo e il loro grazie, diventano per noi davvero il senso compiuto di tanti anni di studi e ricerche, perché finalmente ne vediamo i risultati concreti”.
L’incontro con gli ospiti della Villetta
Al termine della celebrazione, Papa Francesco ha incontrato un gruppo di ospiti della Villetta della Misericordia. Questa realtà è il primo centro di accoglienza a Roma per persone senza fissa dimora collocato in un’area universitaria e ospedaliera, inaugurato il 16 giugno 2016 da Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio e dall’Elemosiniere pontificio Konrad Krajewski. “I nostri ospiti erano tutti emozionatissimi – racconta Carlo Santoro della Sant’Egidio – noi abbiamo partecipato alla Messa con venticinque di loro. La nostra struttura situata all’interno di questa realtà ospedaliera è molto importante perché molti di loro non avevano mai usufruito di cure mediche e sono stati salvati proprio qui. Il Papa li ha salutati e ha voluto conoscere le loro storie. Tanti di loro sono riusciti a riprendere in mano la loro vita. C’è chi ha vissuto per anni al Pronto soccorso del Gemelli e oggi ha una casa e un lavoro. Alcuni di loro sono usciti dalla dipendenza dell’alcol, problema molto diffuso per chi vive in strada, uno dei nostri ex ospiti ha chiesto a Francesco di pregare per il suo Paese, il Pakistan, spiegandogli che lui pur essendo musulmano prega in comunione con tutti noi per la pace. È stato un incontro molto commovente e io credo che non lo dimenticheranno mai”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui