L’incoraggiamento di Francesco ai pescatori rapiti un anno fa in Libia
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Solidarietà incoraggiamento e preghiera: li ha assicurati il Papa a 13 dei 18 pescatori di Mazara del Vallo che, il 17 dicembre dello scorso anno, furono liberati dopo 108 giorni di sequestro da parte delle milizie libiche del generale Haftar, mentre pescavano in acque internazionali e che oggi, all’udienza, sono stati salutati da Francesco, assieme alle loro famiglie e al vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero che li accompagnava. Il Papa li ha incoraggiati ad andare avanti con il loro lavoro, e ad avere speranza.
La benedizione del Papa per aiutare a dimenticare
È stato un giorno importantissimo per noi – racconta con un gran sorriso Michele Trinca, capitano del motopesca Antartide – abbiamo ricevuto la benedizione del Papa, lo abbiamo visto da vicino, e noi non siamo abituati”. “Abbiamo ricevuto un incoraggiamento forte, magari per aiutarci a dimenticare quello che abbiamo vissuto, i 108 giorni di carcere, che è stato molto duro per noi e che speriamo di dimenticare presto”. I ricordi sono bruttissimi, quelli di Michele, così come quelli di Salvo Bernardo, capotimoniere del motopesca Natalino, imbarcazione che riuscì a sfuggire, mentre lui, già sceso a bordo di una motovedetta libica, rimase prigioniero. Il ricordo è talmente drammatico da aver fatto decidere a Salvo di cambiare lavoro, ora è imbarcato in Adriatico, ad Ancona, a bordo di una nave di ricerche geografiche, “non ci sono più sui pescherecci, non ce la faccio”, dice. “Ci hanno fatto girare 4 carceri – racconta ancora il capitano – abbiamo subito molestie. Ora, dopo un anno trascorso vicino ai nostri cari ci sentiamo più sicuri, anche fisicamente siamo guariti, un po’ ci sentiamo meglio”. “Eravamo al buio – prosegue Salvo – si pensava fortemente alle mogli, ai bambini che erano a casa, pensavamo di morire. Il comandante Michele si è sentito male per mancanza di farmaci, non riusciva a camminare, eravamo maltrattati. Eravamo nel buio totale”. Per il comandante Michele sono stati 23 giorni di digiuno completo, in preda ad una intossicazione, senza però essere trasferito in ospedale.
L’udienza, una gioia che è rinascita
“Oggi è stato come rinascere – aggiunge Salvo – è stata una gioia immensa venire dal Papa, mai vista una benedizione del Papa, e ringraziamo il nostro vescovo”, precisano tutti e due rivolgendo lo sguardo a monsignor Domenico Mogavero che li ha accompagnati e che, durante il sequestro, non ha mai abbandonato le famiglie. “Qualcuno di loro – spiega il presule – ha trascorso la notte insonne, perché tutto potevano mettere in conto, tranne un incontro ravvicinato col Papa e avere una benedizione. Francesco ha detto loro di continuare a fare ciò che fanno, di continuare il loro lavoro, di avere speranza, alle famiglie ha detto di stare vicino ai loro pescatori e di aiutarsi nei momenti di difficoltà”. Monsignor Mogavero ricorda l’Angelus del Papa del 18 ottobre 2020, quando le parole di Francesco ruppero quella sorta di indifferenza che si era creata attorno al sequestro. “All’inizio – racconta ancora il vescovo – questa vicenda sembrava uno dei tanti sequestri a carattere economico che non sono rari nel Mediterraneo. Invece era politico. I nostri contatti ci facevano capire che l’esito sarebbe stato positivo, con la liberazione, ma allo stesso tempo ci facevano capire che il decorso sarebbe stato lungo. La materia era complessa e intricata, e non era ipotizzabile il trascorre del tempo”.
Il ricordo di monsignor Mogavero
Il vescovo va con la memoria all’annuncio della liberazione, era il 17 dicembre 2020, “un giorno bellissimo – ricorda con commozione – ero a Marsala e mi arrivò la telefonata del Presidente del Consiglio Comunale, si era realizzato quello che si sperava e per il quale avevamo tutti lavorato, in una unità di intenti che ricorderemo a lungo. Ci siamo trovati assieme, la Chiesa, i sindacati, l’amministrazione comunale, oggi dicevo al Papa che abbiamo fatto una esperienza di cammino sinodale anzitempo, perché abbiamo camminato insieme tre istituzioni che vanno per conto loro, che non necessariamente si incontrano, si sono invece incontrate per un problema e per una solidarietà effettiva verso queste persone, i familiari, che mancavano di tutto, noi li abbiamo aiutati, in tutto”. Fu proprio monsignor Mogavero a parlare per primo ai pescatori che rientravano in Italia subito dopo la liberazione. Il suo saluto arrivò loro dalla radio della motovedetta della guardia costiera che andava incontro alle barche che li riportavano in patria. L’augurio di monsignor Mogavero, adesso, è che si metta mano alla questione delle acque territoriali libiche. Il diritto internazionale prevede che oltre le 12 miglia dalla costa tutti abbiano diritto di entrare e pescare, ma in Libia, precisa il vescovo, “questo non è consentito, i nostri pescatori vanno lì perché il mare è pescoso e ogni volta rischiano la pelle. Sentirsi dire anche dalle istituzioni di ‘evitare di andare per non correre pericoli’ fa male, è intollerabile”. “La questione non può più essere ignorata – è il richiamo – questa esperienza non deve realizzarsi ma più”.
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