Il Papa: più armi oggi che nella guerra fredda, costruire la pace con istruzione e lavoro
Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
Mentre il mondo rimane nella “morsa” della pandemia e si amplifica “l’assordante rumore di guerre e conflitti", e mentre aumenta anche la produzione delle armi più che durante la “guerra fredda” e peggiorano gli effetti di cambiamenti climatici, fame e sete, è ancora possibile costruire una “pace duratura”. È una speranza concreta quella che offre Papa Francesco a questo mondo frammentato nel messaggio per la 55.ma Giornata Mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio 2022. Una speranza che prende la forma del dialogo, declinato a sua volta in ascolto, incontro tra le generazioni, educazione dei giovani, lavoro dignitoso per tutti. Passi concreti che il Pontefice indica per dare risposta a quel “grido dei poveri e della terra” che non cessa di levarsi ancora oggi “per implorare giustizia e pace”.
Un'architettura della pace, un artigianato della pace
Per l'analisi del suo Messaggio Francesco parte da uno sguardo dell’attualità, in cui il cammino della pace - quello che Paolo VI nella Populorum Progressio ha chiamato “sviluppo integrale” - “rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa”. La pace, scrive il Papa, è certamente “dono dall’alto” ma anche “frutto di un impegno condiviso”. C’è infatti “una architettura della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società” e c’è “un artigianato della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona”.
Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati
Dialogo tra generazioni, educazione, lavoro
Francesco propone quindi tre vie “imprescindibili” per “dare vita ad un patto sociale, senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente”: dialogo tra generazioni, educazione, lavoro. Anzitutto, bisogna riappropriarsi della “fiducia reciproca” che sta alla base di ogni dialogo sincero, a fronte di una crisi sanitaria che “ha amplificato per tutti il senso della solitudine e il ripiegarsi su sé stessi” ma ha anche dimostrato come può “esprimersi il meglio delle persone”.
Dialogare significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme. Favorire tutto questo tra le generazioni vuol dire dissodare il terreno duro e sterile del conflitto e dello scarto per coltivarvi i semi di una pace duratura e condivisa.
L'esperienza degli anziani e il dinamismo dei giovani
I giovani, da una parte, hanno bisogno dell’“esperienza esistenziale, sapienziale e spirituale degli anziani”; d’altra parte, gli anziani “necessitano del sostegno, dell’affetto, della creatività e del dinamismo dei giovani”. Proprio nell’incontro tra generazioni si trova “la forza motrice di una politica sana, che non si accontenta di amministrare l’esistente con rattoppi o soluzioni veloci, ma che si offre come forma eminente di amore per l’altro, nella ricerca di progetti condivisi e sostenibili”, afferma Papa Francesco.
Lo sforzo per salvaguardare il creato
In questa stessa direzione si colloca l’impegno per la cura della casa comune, “un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva”. Francesco loda e incoraggia gli sforzi di tanti giovani impegnati per un mondo più giusto e attento a salvaguardare il creato: “Lo fanno con inquietudine e con entusiasmo, soprattutto con senso di responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta, che ci impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e socio-ambientale”.
Istruzione e lavoro fondamenta di una società civile
L’opportunità di costruire assieme percorsi di pace non può prescindere poi da educazione e lavoro, dei quali tuttavia, rileva il Papa, “negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio”. Istruzione e occupazione sono considerate infatti “spese piuttosto che investimenti”, invece esse “sono le fondamenta di una società coesa, civile, in grado di generare speranza, ricchezza e progresso”.
Un processo di disarmo internazionale
Francesco rivela poi un altro paradosso del nostro tempo: laddove diminuiscono gli investimenti su lavoro ed educazione, aumentano invece le spese militari, tanto da superare “il livello registrato al termine della guerra fredda”. “Sembrano destinate a crescere in modo esorbitante”, dice il Papa, che rilancia quindi l’urgenza ad elaborare “politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti”.
Il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio e così via.
I danni del Covid per il lavoro
Soffermandosi sul tema del lavoro, il Pontefice guarda invece ai danni creati dal Covid: “Milioni di attività economiche e produttive sono fallite; i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili; molti di coloro che svolgono servizi essenziali sono ancor più nascosti alla coscienza pubblica e politica; l’istruzione a distanza ha in molti casi generato una regressione nell’apprendimento e nei percorsi scolastici. Inoltre, i giovani che si affacciano al mercato professionale e gli adulti caduti nella disoccupazione affrontano oggi prospettive drammatiche”.
In particolare il Papa giudica “devastante” l’impatto della crisi sull’economia informale, che spesso coinvolge i migranti, molti dei quali non riconosciuti da leggi nazionali, “esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga”. A ciò si aggiunge che “attualmente solo un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale, o può usufruirne solo in forme limitate”.
In molti Paesi crescono la violenza e la criminalità organizzata, soffocando la libertà e la dignità delle persone, avvelenando l’economia e impedendo che si sviluppi il bene comune. La risposta a questa situazione non può che passare attraverso un ampliamento delle opportunità di lavoro dignitoso.
Non sostituire il lavoro umano col progresso tecnologico
Il lavoro infatti è “la base su cui costruire la giustizia e la solidarietà in ogni comunità”, afferma Papa Francesco. Per questo, raccomanda di non cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: “Così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa”.
Dobbiamo unire le idee e gli sforzi per creare le condizioni e inventare soluzioni, affinché ogni essere umano in età lavorativa abbia la possibilità, con il proprio lavoro, di contribuire alla vita della famiglia e della società
No al profitto come "criterio-guida"
Obiettivi raggiungibili attraverso la promozione in tutto il mondo di condizioni lavorative “decenti e dignitose”, che assicurino “la libertà” delle iniziative imprenditoriali e facciano crescere una rinnovata responsabilità sociale, perché “il profitto non sia l’unico criterio-guida”. In questa prospettiva il Pontefice si appella alla politica perché svolga “un ruolo attivo” nel promuovere “un giusto equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale” e chiede che vengano “stimolate, accolte e sostenute” le iniziative che sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani di lavoratrici e lavoratori.
Da qui, infine, il ringraziamento a quanti si sono dedicati e continuano a dedicarsi “con generosità e responsabilità” per garantire istruzione, tutela dei diritti, cure mediche, sostegno economico agli indigenti o a chi ha perso il lavoro.
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