Dalle macerie di Mosul a quelle dell’Ucraina, una voce di pace e di speranza
ANDREA TORNIELLI
Francesco entra nel decimo anno di pontificato ed è un anniversario drammaticamente segnato dall’orrore della guerra nel cuore dell’Europa. È impressionante riascoltare oggi alcune delle parole che il Papa aveva pronunciato un anno fa, durante il viaggio apostolico più importante e coraggioso del suo pontificato, quello in Iraq. Una trasferta da lui fortemente voluta, nonostante i rischi e i tanti pareri contrari motivati dall’enorme difficoltà nel garantire la sicurezza, in particolare per le persone che avrebbero partecipato alle celebrazioni e agli incontri. Francesco nel marzo 2021 volle compiere quel pellegrinaggio, rimasto tra i sogni mai realizzati di san Giovanni Paolo II, per manifestare la sua vicinanza a tutte le vittime del fondamentalismo, per incoraggiare il difficile percorso di ricostruzione del Paese, per tendere la mano ai tanti musulmani pacifici che vogliono convivere in pace con i cristiani e con gli appartenenti alle altre religioni.
Culmine di quel viaggio fu la visita del Vescovo di Roma tra le macerie di Mosul. Francesco disse: “Oggi, tutti eleviamo le nostre voci in preghiera a Dio Onnipotente per tutte le vittime della guerra e dei conflitti armati. Qui a Mosul le tragiche conseguenze della guerra e delle ostilità sono fin troppo evidenti. Com’è crudele che questo Paese, culla di civiltà, sia stato colpito da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia e migliaia di persone – musulmani, cristiani, gli yazidi, che sono stati annientati crudelmente dal terrorismo, e altri – sfollati con la forza o uccisi!”
Un anno dopo, ancora una volta, le tragiche conseguenze della sporca guerra in Ucraina, ipocritamente definita “operazione militare speciale”, sono sotto gli occhi del mondo, con il loro carico di dolore, di sofferenza, di corpi innocenti straziati, di bambini uccisi, di famiglie divise, di milioni di profughi costretti a lasciare tutto per fuggire alle bombe, di città trasformate in campi di battaglia, di case sventrate e bruciate. Per non parlare delle ferite dei cuori, che avranno bisogno di anni per guarire. Questa volta è una guerra vicina. Non è lontana come quella dell’Iraq, che con profetica lucidità Papa Wojtyla – inascoltato - supplicò invano che non venisse intrapresa, e che trasformò la terra di Abramo nella sentina di tutti i terrorismi. La guerra, “avventura senza ritorno”.
Questa volta l’odio e la violenza non si possono ammantare di teorie sullo “scontro di civiltà”, non hanno a che fare con fittizie motivazioni religiose. Questa volta sui due fronti ci sono uomini e donne che condividono la stessa fede cristiana e lo stesso battesimo. Di fronte allo scempio provocato dall’aggressione dell’esercito russo in Ucraina, e all’escalation bellica che ha innescato, con il rischio di trascinare il mondo in un conflitto nucleare, non è facile trovare segni di speranza. Eppure, come un anno fa a Mosul Papa Francesco riaffermò la “convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra”, anche oggi, nonostante tutto, è possibile sperare. Implorando da Dio il dono della pace, senza mai smettere di cercarla e di perseguirla, senza lasciare nulla di intentato per ottenere il cessate il fuoco e l’inizio di negoziati veri. Perché se si vuole la pace, bisogna preparare la pace, non la guerra. Bisogna avere il coraggio e la creatività di percorrere vie nuove per costruire una convivenza tra le nazioni che non sia basata sugli equilibri di forza e sulla deterrenza. Oggi è possibile sperare guardando la grande ondata di solidarietà che in pochi giorni si è generata dal basso e la generosità di Paesi come la Polonia, che hanno aperto le loro porte a milioni di profughi.
Un anno fa, nell’incontro interreligioso nella Piana di Ur, Francesco disse: “Da dove può cominciare allora il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Mentre alcuni cercano di avere nemici più che di essere amici, mentre tanti cercano il proprio utile a discapito di altri, chi guarda le stelle delle promesse, chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti. Non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può atteggiarsi in modo aggressivo”. Il cammino della pace inizia dal disarmo dei cuori, ha insegnato il Papa in questi nove anni di pontificato. Dirsi cristiani significa appartenere a un Dio fatto Uomo che sulla croce si è fatto uccidere per amore e con la sua scelta di essere vittima inerme, da duemila anni ci chiede di stare dalla parte degli oppressi, degli aggrediti, dei vinti, degli ultimi, degli scartati. Ci chiede di seminare pace e mai odio, guerra, violenza.
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