Francesco: si evangelizza con lo stile di Dio che è gioia e misericordia
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Sono arrivati a Roma da diverse regioni del mondo, da sobborghi di grandi città, da campagne isolate, da terre ricche di risorse ma non di opportunità. In queste periferie, anche esistenziali, accolgono quanti fuggono da conflitti e povertà, persone appartenenti a minoranze etniche. Sono una settantina i missionari comboniani che partecipano al loro capitolo generale incentrato sul tema “Io sono la vite, voi i tralci. Radicati in Cristo insieme a Comboni”. Ricevendoli in udienza in Vaticano, Papa Francesco ricorda che la missione “dipende totalmente dall’unione con Cristo e dalla forza dello Spirito Santo”. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)
L’amore di Cristo agisce attraverso i suoi discepoli
Cosa significa essere missionari? il Pontefice sottolinea che si possono realizzare programmi, promuovere iniziative, fare tante cose. Ma “se non siamo in Lui e se il suo Spirito non passa attraverso di noi, tutto quello che facciamo è nulla ai suoi occhi, cioè non vale nulla per il Regno di Dio”.
Invece, se siamo come tralci ben attaccati alla vite, la linfa dello Spirito passa da Cristo in noi e qualsiasi cosa facciamo porta frutto, perché non è opera nostra, ma è l’amore di Cristo che agisce attraverso di noi. Questo è il segreto della vita cristiana, e in particolare della missione, dovunque, in Europa come in Africa e negli altri continenti. Il missionario è il discepolo che è così unito al suo Maestro e Signore, che le sue mani, la sua mente, il suo cuore sono “canali” dell’amore di Cristo. Il missionario è questo, non è uno che fa proselitismo. Perché il “frutto” che Lui vuole dai suoi amici non è altro che l’amore, il suo amore, quello che viene dal Padre e che ci dona con lo Spirito Santo. È lo Spirito di Cristo che ci porta avanti.
Andare verso gli altri
Il Papa ricorda poi che grandi missionari, come Daniele Comboni, hanno vissuto “la loro missione sentendosi animati e ‘spinti’ dal Cuore di Cristo”. Questa “spinta” ha permesso loro di uscire e di andare “non solo oltre limiti e confini geografici, ma prima ancora oltre i loro stessi limiti personali”. “La spinta dello Spirito Santo - spiega il Papa - è quella che ci fa uscire da noi stessi, dalle nostre chiusure, dalla nostra autoreferenzialità, e ci fa andare verso gli altri, verso le periferie, là dove maggiore è la sete di Vangelo”. La tentazione più brutta nella vita religiosa, aggiunge Francesco a braccio - è l’autoreferenzialità che “impedisce di andare oltre”.
Il tratto essenziale del Cuore di Cristo è la misericordia, la compassione, la tenerezza. Questo non va dimenticato: lo stile di Dio, già nell’Antico Testamento, è questo. Vicinanza, compassione e tenerezza. Non c’è l’organizzazione, no, vicinanza, compassione, tenerezza. E allora penso che voi siete chiamati a portare questa testimonianza dello “stile di Dio” – vicinanza, compassione, tenerezza – nella vostra missione, là dove siete e dove lo Spirito vi guiderà. La misericordia, la tenerezza è un linguaggio universale, che non conosce confini. Ma questo messaggio voi lo portate non tanto come singoli missionari, ma come comunità, e ciò comporta che vada curato non solo lo stile personale, ma anche lo stile comunitario.
Lo stile dell’evangelizzare sia gioioso
Tante volte, ricorda il Papa a braccio, alcune comunità religiose sono “un vero inferno, un inferno di gelosie, di lotta di potere”. Queste comunità religiose “hanno delle regole”, un sistema di vita “ma manca l’amore”. “C’è tanta invidia, gelosie, lotta per il potere”. È necessario, sottolinea il Papa, che tutto si faccia “nella docilità allo Spirito”. Ed è anche necessario che, i progetti, le iniziative rispondano “alle esigenze dell’evangelizzazione”.
Intendo anche allo stile dell’evangelizzare: che sia gioioso, mite, coraggioso, paziente, pieno di misericordia, affamato e assetato di giustizia, pacifico, insomma: lo stile delle Beatitudini. Questo conta. Anche la regola di vita, la formazione, i ministeri, la gestione dei beni vanno impostati sulla base di questo criterio fondamentale. «La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore […]. La comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. L’evangelizzazione usa molta pazienza, […]. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania.
La comunità evangelizzatrice gioiosa, ricorda infine Papa Francesco, sa sempre “festeggiare”. “Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione”.
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