Lombardi: il viaggio del Papa in Canada ha raggiunto i suoi scopi
Antonella Palermo - Città del Vaticano
All'indomani del rientro in Vaticano di Papa Francesco dal suo 37mo Viaggio apostolico in Canada, abbiamo chiesto a padre Federico Lombardi S.I., scrittore de La Civiltà Cattolica ed ex direttore della Sala Stampa della Santa Sede, di ripercorrerne le tappe salienti, commentandone l'impianto, lo stile, i contenuti e le speranze.
Che bilancio generale si sente di esprimere alla fine di questo pellegrinaggio penitenziale di Francesco?
Mi sembra che il viaggio abbia veramente raggiunto i suoi scopi, che sia stato impostato con grande coerenza e unitarietà. Non è stato dispersivo, aveva un filo conduttore molto preciso, preparato bene. Il Papa ha fatto tutto quello che doveva fare, se così si può dire, recandosi nei luoghi di questo immenso Paese con la volontà di lavorare insieme ai popoli indigeni e con tutta la società canadese per contribuire a questa riconciliazione e costruire una realtà di armonia che possa guardare al futuro anche sulla base di rapporti nuovi, pienamente rispettosi della dignità e dei valori di ognuna delle componenti che è entrata a far parte della formazione di questo Paese. Il Papa ha saputo anche coinvolgere tutta la comunità della Chiesa canadese. Mi pare che il Papa abbia fatto veramente un cammino: un cammino del riconoscimento penitenziale delle colpe e che è sempre un punto di partenza per ogni incontro vero con gli altri e con Dio. E ha saputo portare questo cammino verso la speranza: non è rimasto chiuso nel riconoscimento del peccato ma ha fatto il suo passo verso l’impegno vissuto non solo volontaristicamente ma cristianamente, con grande fiducia nella potenza della risurrezione del Signore e dell’annuncio del Vangelo.
Il Papa ha saputo intessere i suoi discorsi con la memoria dell’evangelizzazione del Canada: pensiamo alla figura di San Francesco de Laval, che egli stesso aveva canonizzato in anni recenti, e a tutta la tradizione cristiana portata dai grandi missionari della prima epoca che si è concretizzata nella figura di Sant’Anna. Ha così toccato il cuore della religiosità tradizionale, popolare ma solidamente fondata nella Chiesa. Insomma, il cammino penitenziale, che si riferisce alla vicenda degli abusi o della mancanza di rispetto dei popoli autoctoni e alla vicenda dolorosissima delle scuole residenziali, si è intrecciato con un filo di speranza portato proprio dalla fede in Cristo, da un genuino annuncio del Vangelo. E questo è arrivato anche alla attualità della società canadese. Ci sono stati dei riferimenti molto espliciti alla tematica della secolarizzazione della società canadese che ha portato anche a un indebolimento su come fronteggiare positivamente e con fiducia il fenomeno. È stato fatto ricordando l’impegno di grandi autori canadese recenti: Taylor, uno dei massimi studiosi della secolarizzazione e grande cattolico, e Lonergan, uno dei maggiori teologi del secolo passato che ha riflettuto profondamente sul rapporto tra l’annuncio della fede e la cultura odierna. Per dire che il Canada ha, dunque, nella storia dell’evangelizzazione, sia dei riferimenti antichi che moderni i quali possono alimentare le risposte, ai problemi o alle sfide di oggi.
Papa Francesco ha detto che la Chiesa non è un’idea da inculcare ma casa accogliente di riconciliazione. E ha avvertito che l’atteggiamento che ha alimentato discriminazioni “è duro a morire, anche dal punto di vista religioso”…
Certamente. Con molta umiltà e molta concretezza dobbiamo renderci conto che questi sono discorsi, principi, atteggiamenti da ravvivare continuamente perché continuamente vengono rimessi in questione, dimenticati. Non bisogna mai illudersi di aver cambiato il cuore dell’uomo una volta per tutte e di averlo reso superiore a ogni peccato e a ogni errore. Il cammino del Papa, come quello della Chiesa e di tutti noi che cerchiamo di seguire questo esempio del Signore, deve essere sempre rilanciato, bisogna riconoscere con verità gli errori compiuti e cercare di guarire le ferite che continuano a riproporsi. A questo proposito, il tema del discorso al lago di Sant’Anna sulle acque che guariscono è stato molto toccante. Noi ci confrontiamo anche nella nostra storia con un male che risorge continuamente e su cui dobbiamo essere avvertiti per continuare a superare le sue conseguenze e manifestazioni. Io credo che il Papa ci abbia dato un messaggio di coraggio, fiducia e speranza ma anche che non dobbiamo ritenere di aver risolto definitivamente i problemi. Quando mai avremo costruito la pace nel mondo in modo definitivo? C’è sempre la tentazione della divisione, dell’odio, della guerra e dell’egoismo e questo noi dobbiamo contrastarlo continuamente. Così, il tema del rispetto del rispetto dell’altro, del non ritenersi superiori è qualcosa che ci deve sempre accompagnare. È qualcosa che la società canadese in questi anni sta vivendo molto. La vicenda delle scuole residenziali è un punto che tocca una revisione di coscienza sul rispetto della cultura diversa e di una forma di educazione che non deve essere di negazione ma, anzi, di apertura e sua valorizzazione.
Come ricentrare dunque, alla luce di quanto detto e fatto dal Papa in questi giorni canadesi, e direi anche alla luce della Costituzione apostolica Praedicate evangelium, il concetto di inculturazione della fede?
Questo è un tema che accompagna la Chiesa dal Vaticano II in modo molto continuo e si riferisce a tutte le culture del mondo: vale per l’America latina, per l’Asia, per l’Africa. Naturalmente, nel viaggio in Canada è stato vissuto in rapporto alle culture autoctone e ai loro valori. L’ultimo discorso fatto agli Inuit a mio avviso è stato un vero capolavoro di impegno di inculturazione perché il Papa ha fatto esplicito riferimento al principale documento recente sui valori della cultura Inuit da mantenere nei confronti della società e del mondo che cambia. E lui lo ha riferito ai valori del vangelo. Ha fatto proprio un lavoro di tessitura tra l’annuncio del vangelo e i valori tradizionali sfidati dalla contemporaneità. E lo ha fatto per la cultura Inuit specificatamente.
Io l’ho trovato piuttosto impressionante. Siamo capaci tutti di parlare genericamente di inculturazione, lo ripetiamo ogni giorno, ma poi bisogna farla e farla significa prendere veramente sul serio che cosa nella quotidianità una cultura significa, come si esprime. E come l’annuncio del vangelo può ulteriormente valorizzare quello che c’è in questa cultura purificandolo eventualmente da elementi che possono e debbono essere superati portandoli ad una ulteriore maturazione e a una condivisione nel rapporto anche con le altre culture. In una società come il Canada, per esempio, ricchissima di popoli che giungono attraverso l’immigrazione e che si fondono in una varietà incredibile, andare fino in fondo cercando di cogliere un valore, rapportarlo al vangelo e condividerlo facendone vedere l’importanza nel contesto attuale - dal punto di vista per esempio dell’educazione ambientale o della conservazione dei valori relazionali nella famiglia o tra le generazioni - ecco, questo è un grande lavoro da fare. Direi che il Papa ce ne ha dato un esempio concreto. Poi va approfondito quotidianamente anche dalla Chiesa canadese e da tutte le persone che vivono nella società canadese a cui lui si è fatto prossimo con una partecipazione, vicinanza e cordialità che ha impressionato tutti e che veramente è un suo grande dono.
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