Il Papa: costruiamo una Chiesa credibile senza cedere al pessimismo
Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
“La Chiesa sarà credibile testimone del Vangelo quanto più i suoi membri vivranno la comunione, creando occasioni e spazi perché chiunque si avvicini alla fede trovi una comunità ospitale, che sa ascoltare ed entrare in dialogo, che promuove una qualità buona delle relazioni”.
Nella basilica seicentesca di Notre Dame a Québec, che custodisce le spoglie del primo vescovo san Francesco de Laval, dove il Papa si ferma in silenzio per alcuni istanti, Francesco prega i vespri con vescovi, sacerdoti, seminaristi, operatori pastorali di tutto il Canada. E nell'omelia di questo secondo e ultimo appuntamento del capoluogo della provincia francofona, torna a chiedere perdono. Perdono non solo per gli abusi nelle scuole residenziali perpetrati anche da cattolici, ma anche per tutti gli abusi sessuali compiuti da membri del clero.
Mai più abusi nella Chiesa
“Mai più”, scandisce Francesco. "Nunca más".
Penso in particolare agli abusi sessuali commessi contro minori e persone vulnerabili, scandali che richiedono azioni forti e una lotta irreversibile. Io vorrei, insieme a voi, chiedere ancora perdono a tutte le vittime. Il dolore e la vergogna che proviamo deve diventare occasione di conversione: mai più!
“Mai più” il Papa lo ripete anche per stigmatizzare la mentalità colonizzatrice che ha portato a quella che nei giorni scorsi ha definito una “storia di dolore e disprezzo” che ha ferito il Canada.
Pensando al cammino di guarigione e riconciliazione con i fratelli e le sorelle indigeni, mai più la comunità cristiana si lasci contaminare dall’idea che esista una superiorità di una cultura rispetto ad altre e che sia legittimo usare mezzi di coercizione nei riguardi degli altri... Non permettiamo che alcuna ideologia alieni e confonda gli stili e le forme di vita dei nostri popoli per cercare di piegarli e di dominarli.
La gioia della fede, non una gioia "a buon mercato"
A Notre Dame il Vescovo di Roma viene accolto dal cardinale Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec, e da monsignor Raymond Poisson, presidente della Conferenza episcopale. Un canto saluta l’arrivo del Pontefice, che fuori dalla basilica saluta alcuni fedeli e poi attraversa il corridoio centrale in sedia a rotelle fermandosi ogni istante per stringere le mani di suore e sacerdoti che si sporgono dai banchi. I vespri sono celebrati in inglese, francese e latino; l’omelia è in spagnolo, come tutti i discorsi pronunciati finora. Il Papa parla al clero canadese di dedizione e tenerezza, di vicinanza e di quella “gioia della fede” che nasce dalla consapevolezza che “Dio è vicino”
Non una gioia, quindi, “a buon mercato, quella che a volte il mondo ci propone illudendoci con dei fuochi d’artificio”. Tantomeno una gioia “legata a ricchezze e sicurezze; nemmeno alla persuasione che nella vita ci andrà sempre bene, senza croci e problemi”. La gioia cristiana, sottolinea Papa Francesco, è piuttosto “unita a un’esperienza di pace che rimane nel cuore anche quando siamo bersagliati da prove e afflizioni, perché sappiamo di non essere soli ma accompagnati da un Dio che non è indifferente alla nostra sorte”.
Prigionieri di pessimismo e risentimento
Ma oggi c’è chi “minaccia la gioia della fede e rischia di oscurarla”, avverte. È la “secolarizzazione”, che da tempo “ha trasformato lo stile di vita delle donne e degli uomini di oggi, lasciando Dio quasi sullo sfondo”. Quasi “scomparso all’orizzonte”. Attenzione, però, perché - ammonisce il Papa - “quando osserviamo la cultura in cui siamo immersi, i suoi linguaggi e i suoi simboli”, si rischia di “restare prigionieri del pessimismo e del risentimento, lasciandoci andare a giudizi negativi o a inutili nostalgie”.
È tutta una questione di sguardi: da una parte, uno “sguardo negativo”; dall’altra, lo “sguardo che discerne”. Lo sguardo negativo, spiega Francesco, “nasce spesso da una fede che, sentendosi attaccata, si concepisce come una specie di ‘armatura’ per difendersi dal mondo”.
Con amarezza accusa la realtà dicendo: “il mondo è cattivo, regna il peccato”, e rischia così di rivestirsi di uno “spirito da crociata”. Stiamo attenti a questo, perché non è cristiano, non è infatti il modo di fare di Dio.
Uno sguardo buono sul mondo
“Il Signore, che detesta la mondanità, ha uno sguardo buono sul mondo”. Pertanto se ci fermiamo a uno sguardo negativo, “ci chiuderemo in noi stessi, piangeremo sulle nostre perdite, ci lamenteremo continuamente e cadremo nella tristezza e nel pessimismo, che non vengono mai da Dio”.
Se cediamo allo sguardo negativo e giudichiamo in modo superficiale, rischiamo di far passare un messaggio sbagliato, come se dietro alla critica sulla secolarizzazione ci fosse da parte nostra la nostalgia di un mondo sacralizzato, di una società di altri tempi nella quale la Chiesa e i suoi ministri avevano più potere e rilevanza sociale. Questa è una prospettiva sbagliata.
Immaginazione pastorale
Non solo: “Il problema della secolarizzazione, per noi cristiani, non dev’essere la minore rilevanza sociale della Chiesa o la perdita di ricchezze materiali e privilegi; piuttosto, essa ci chiede di riflettere sui cambiamenti della società, che hanno influito sul modo in cui le persone pensano e organizzano la vita. Se ci soffermiamo su questo aspetto, ci accorgiamo che non è la fede a essere in crisi, ma certe forme e modi attraverso cui la annunciamo”, afferma il Pontefice. La secolarizzazione, in quest’ottica, è “una sfida per la nostra immaginazione pastorale”.
Tre sfide
A proposito di sfide, il Papa ne indica tre. La prima è “far conoscere Gesù” nei “deserti spirituali del nostro tempo, generati dal secolarismo e dall’indifferenza”. Non si può comunicare la gioia della fede “soltanto ripetendo alcune pratiche o replicando forme pastorali del passato”: “Occorre trovare vie nuove per annunciare il cuore del Vangelo a quanti non hanno ancora incontrato Cristo”, esorta Francesco.
La seconda sfida è “la testimonianza”: “Voi – dice a vescovi, preti e futuri preti - siete i protagonisti e i costruttori di una Chiesa diversa: umile, mite, misericordiosa, che accompagna i processi, che lavora decisamente e serenamente all’inculturazione, che valorizza ognuno e ogni diversità culturale e religiosa”.
La Chiesa, comunità ospitale
Infine, la terza sfida: “La fraternità”. Che significa nel concreto vivere una comunità cristiana che è “scuola di umanità”, di intrecciare legami anche “con chi non è ‘dei nostri’, con chi non crede, con chi ha tradizioni e usi diversi”. Quindi di “promuovere relazioni di fraternità con tutti, con i fratelli e le sorelle indigeni, con ogni sorella e fratello che incontriamo, perché nel volto di ognuno si riflette la presenza di Dio”. Da qui il Papa lascia un'ultima raccomandazione: "Non chiudiamoci nell’'indietrismo' ma andiamo avanti, con gioia!".
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