Il Papa: curare le persone e non le risorse per non cadere nel "business della carità"
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Non solo “dare” ma soprattutto “darsi”. Insieme alla gratitudine per un servizio lungo decenni, Papa Francesco ricorda alla Caritas spagnola – ricevendo oggi una delegazione per il 75° della fondazione - la natura della propria missione e la linfa da cui trarre forza per compierla al meglio: la carità. Che, dice il Pontefice nel suo discorso, significa operare per promuovere “un cambiamento” nelle persone e favorirne lo sviluppo, non soltanto fornire aiuti e gestire più ordinatamente le risorse.
Per vocazione, non per occupazione
Su questo punto il Papa - distaccandosi dal discorso - insiste in modo particolare:
Per favore, fate attenzione alle risorse, ma non cadete nel grande business della carità, dove il 40, 50, 60% delle risorse è destinato a pagare gli stipendi di quanti vi lavorano. Ci sono aziende in Europa, ci sono, scusate, movimenti di istituzioni di carità, che arrivano al 60%, credo sia troppo… Ma 40 e oltre% è destinato agli stipendi. No. Meno mediazioni possibili! E quelle che ci sono, per quanto possibile, per vocazione, non come lavoro. “Vieni che ti do un lavoro in Caritas…” No, no. Questo non va bene.
Unità perduta
Francesco per due volte chiarisce di parlare in virtù della sua "esperienza nel vedere altre istituzioni di aiuto che cadono in questa situazione". Il riferimento, quindi, non è diretto alla Caritas della Spagna che, anzi, il Pontefice ringrazia per l'opera compiuta, tanto che “si è guadagnata il rispetto della società spagnola, al di là delle sue credenze e ideologie”. Si tratta di un fatto molto importante, secondo il Papa, “perché ci permette di vedere come il modo di amare divino possa essere modello di lavoro di Caritas”.
Se Cristo ci chiama alla comunione con Dio e con il fratello, il vostro sforzo è diretto proprio a riconquistare quell’unità a volte perduta nelle persone e nelle comunità.
Cammini di recupero
In questo senso, Papa Francesco indica tre sfide. La prima è “lavorare a partire dalle capacità e dalle potenzialità accompagnando processi”.
Effettivamente, a motivarci, a farci raggiungere obiettivi programmati non sono i risultati ma il metterci dinanzi a una persona che è spezzata, che non trova il proprio posto, e accoglierla, aprire per lei cammini di recupero di modo che possa trovare se stessa, essendo capace, nonostante i suoi limiti e i nostri, di cercare il suo posto e di aprirsi agli altri e a Dio
A tal proposito, distaccandosi dal discorso scritto, il Papa consiglia un libro di cui aveva già parlato durante il volo di ritorno dal viaggio a Malta: "Hermanito", romanzo di Amets Arzallus Antia e Ibrahima Balde. "È uscito circa due anni fa in Spagna" e "richiede due ore di lettura", spiega il Pontefice, che lo definisce "fonte di ispirazione". "È la vita di un migrante dell'Africa centrale che arriva in Spagna, credo che abbia impiegato due anni e mezzo per arrivarci, o tre. Tutto ciò che ha dovuto subire e come è stato accolto con carità in quel luogo, e come è riuscito a rimettersi in piedi e a raccontare la sua esperienza".
Non basta dare
Francesco cita il volume per illustrare la seconda sfida che è quella di “realizzare azioni significative”. “Non bastano gesti che cerchino di ‘uscirne fuori’, ma che promuovano un vero cambiamento nelle persone”, chiosa il Papa, ricordando il caso di una parrocchia della Spagna, dove la gente chiedeva al parroco se dava “buste” ossia “se potevano approfittare di quella congiuntura ‘assistenzialista’ che in realtà li mantiene incatenati al sussidio, impedendo il loro sviluppo”.
I poveri devono essere sempre accolti, accompagnati e integrati. Tutto un lavoro...
Il messaggio di Gesù
Gesù stesso, con la sua vita e la sua opera, dice chiaramente “che non basta ‘dare’, bisogna ‘darsi’”.
Parafrasando il Vangelo di Giovanni, se venissimo cercati e venissimo lodati solo perché la gente ha mangiato pane e per questo motivo ci sentissimo come re, staremmo tradendo il messaggio di Gesù.
Interpellati dalla sofferenza del fratello
L’invito è ad “essere fermento di un regno di giustizia, di amore e di pace”, dice Papa Francesco. E, da qui, introduce la terza sfida: cercare di “essere canale dell’azione della comunità ecclesiale”. “Caritas si propone a noi come quella mano tesa che è di Cristo quando la offriamo a chi ha bisogno di noi, e al tempo stesso ci permette di afferrare Cristo quando lui ci interpella nella sofferenza del fratello”, afferma il Pontefice. "Guardare il fratello che è caduto, non dimentichiamo che l’unico momento in cui ci è consentito guardare una persona dall’alto in basso è per aiutarla ad alzarsi, poi mai più", aggiunge a braccio.
Essere canale non vuol dire semplicemente una gestione più ordinata delle risorse, o uno spazio in cui poter scaricare la responsabilità di questa delicata missione ecclesiale. Essere canale dovrebbe intendersi, soprattutto, come quell’opportunità – che tutti dovremmo cogliere – per far quell’esperienza unica e necessaria a cui il Signor ci invita quando dice: “Vuoi sapere chi è il tuo prossimo? Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui