Il Papa: come in Siria, la Chiesa sia casa dalle porte aperte e luogo di fratellanza umana
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
È una popolazione che vive sofferenze da 12 anni quella siriana, per il sanguinoso conflitto che ha provocato un “numero imprecisato di morti e feriti” e “distruzioni di interi quartieri e villaggi” e infrastrutture, tra cui quelle ospedaliere, ricorda il Papa incontrando nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico i partecipanti all’iniziativa “Ospedali Aperti” in Siria della Fondazione Avsi. Con loro il cardinale Mario Zenari, da quattordici anni nunzio apostolico nel Paese. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)
La Chiesa ospedale da campo per i sofferenti
Quella che “a detta degli osservatori internazionali, rimane una delle più gravi crisi nel mondo, con distruzioni, crescenti bisogni umanitari, collasso socio-economico, povertà e fame a livelli gravissimi” ha prodotto “circa quattordici milioni di sfollati interni e rifugiati, ossia più di metà della popolazione siriana di prima del conflitto”, fa notare Francesco, nel suo discorso. Il Papa racconta di aver ricevuto in dono l’opera di un artista, Massimiliano Ungarelli, che, ispirandosi a una fotografia, ha ritratto un papà siriano, stremato di forze, con il suo bambino sulle spalle”. Ruvela che quel quadro gli ha fatto venire in mente San Giuseppe, costretto a fuggire in Egitto e, al termine dell’udienza, decide di offrirne l'immagine ad “Ospedali Aperti”, perché guardandola si pensi “a questa fuga in Egitto di ogni giorno, di questo popolo che soffre tanto”.
Di fronte a questa immensa sofferenza, la Chiesa è chiamata ad essere un “ospedale da campo”, per curare le ferite sia spirituali sia fisiche.
L’invito di Gesù a sanare gli infermi e a curare i malati
È Gesù che per primo ha operato diverse guarigioni, che ha esortato i suoi apostoli a sanare gli infermi e a prendersi cura dei malati, ricorda il Papa, aggiungendo di avere “esortato più volte i sacerdoti, specialmente il Giovedì Santo, a toccare le ferite, i peccati, le angustie della gente” e di avere “incoraggiato tutti i fedeli a toccare le piaghe di Gesù, che sono i tanti problemi, le difficoltà, le persecuzioni, le malattie delle persone che soffrono. E le guerre”. Il Pontefice cita l’impegno di “Ospedali Aperti”, iniziativa, insieme ad altre promosse dalle Chiese in Siria sbocciata "dalla creatività dell’amore”, che sta sostenendo le tre strutture sanitarie cattoliche operanti nel Paese da circa cent’anni e quattro ambulatori, “sotto il patrocinio del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale” e grazie alla generosità di istituzioni ecclesiali, enti governativi, “istituzioni umanitarie cattoliche e di tante persone generose”.
Una Chiesa casa dalle porte aperte e luogo di fratellanza
Essere “aperti a malati poveri, senza distinzione di appartenenza, etnica e religiosa”: questo, afferma Francesco, caratterizza una Chiesa “che vuol essere casa con le porte aperte e luogo di fratellanza umana”.
Nelle nostre istituzioni assistenziali-caritative, le persone, soprattutto i poveri, devono sentirsi “a casa” e sperimentare un clima di accoglienza dignitosa.
In questo modo si riuscirà a “curare i corpi e ricucire il tessuto sociale”, "promuovendo quel mosaico di convivenza esemplare tra vari gruppi etnico-religiosi caratteristico della Siria”, continua il Papa, che cita la riconoscenza di “tantissimi musulmani” verso gli ospedali del progetto dell'Avsi.
I buoni samaritani
Francesco prende poi spunto dall’icona di Gesù Buon Samaritano donatagli da “Ospedali Aperti” per descrivere la Siria di oggi, “aggredita, derubata e abbandonata” ma non dimenticata da Cristo e da singole persone, associazioni, istituzioni, tanti buoni samaritani, che a centinaia “hanno perso la vita soccorrendo il prossimo”. Ribadisce quanto scritto nell’Enciclica Fratelli tutti a proposito dell’incuranza sociale e politica che “fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate, dove le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada” e il suo invito a riflettere, ciascuno, sulle proprie responsabilità.
Da piccole gocce d'acqua nel deserto tanti fili d'erba
E se “di fronte a tante e gravi necessità, sentiamo tutto il limite delle nostre possibilità di intervento”, “come i discepoli di Gesù di fronte alla numerosa folla da sfamare”, osserva il Pontefice, o ci si sente come “una goccia d’acqua nel deserto”, c’è da guardare con speranza al poco che ognuno può fare.
Anche il pietroso deserto siriano, dopo le prime piogge di primavera, si ammanta di una coltre di verde. Tante piccole gocce, tanti fili d’erba!
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