Un cristiano diventato Papa che ci richiama all’essenza del Vangelo
ANDREA TORNIELLI
L’8 febbraio 1970, nella sua prima omelia da patriarca di Venezia nella basilica di San Marco, Albino Luciani ripeté le parole che undici anni prima aveva detto ai fedeli di Vittorio Veneto appena divenuto loro vescovo: «Dio, certe cose grandi ama talvolta scriverle non sul bronzo o sul marmo, ma addirittura sulla polvere, affinché se la scrittura resta, non scompaginata o dispersa dal vento, risulti chiaro che il merito è tutto e solo di Dio. Sono io la polvere: l’ufficio di patriarca e la diocesi di Venezia sono le grandi cose unite alla polvere; se un po’ di bene verrà fuori da questa unione, è chiaro che sarà tutto merito della misericordia del Signore». È in queste parole, «io sono la polvere», il grande segreto della vita cristiana che Albino Luciani ha testimoniato lungo tutta la sua esistenza.
La santità di Giovanni Paolo I - un cristiano diventato Papa il 26 agosto 1978 che oggi, 44 anni dopo, diventa beato – è la storia semplice di un uomo che in ogni passo della sua vita si è fidato di Dio e si è affidato a Lui. E questo affidarsi è avvenuto nella coscienza della propria piccolezza. «Senza di me non potete far nulla» ha detto Gesù ai suoi amici. «Mettiti dietro a me, Satana!» ha ordinato il Nazareno a Pietro, dopo che questi lo aveva rimproverato per l’aver preannunciato la sua passione e morte. Sono due indicazioni preziose, che Albino ha seguito lungo tutta la sua esistenza. La grazia del riconoscersi peccatori, bisognosi di tutto; la grazia del non contare sulle proprie forze, sulla propria bravura, sulle proprie strategie ma sull’aiuto e la presenza di un Altro, hanno permesso al sacerdote, al vescovo e al Papa di testimoniare il volto di una Chiesa serena e fiduciosa. Una Chiesa vive il Vangelo nella quotidianità e non ha bisogno dei fuochi di artificio per far vedere di esistere. Una Chiesa capace di portare prossimità, consolazione e speranza a tutti, incominciando dai più piccoli, dai più poveri, dagli esclusi e dagli impresentabili.
«Dalla misura dell’umiltà, si conosce il nostro progresso spirituale», diceva san Francesco di Sales, il santo preferito di Luciani. Per lui, uomo di grande cultura e preparazione capace di parlare in modo semplice e colloquiale facendoci comprendere da tutti, è stato proprio così. Il riconoscimento degli altari per questo figlio della Chiesa veneta alieno da qualsiasi protagonismo, che non aveva mai ambito a posti di rilievo e che prima di essere eletto quasi all’unanimità nel conclave meditava di partire come missionario per l’Africa una volta raggiunta l’età canonica delle dimissioni da Venezia, è un segno di speranza per tutti. Perché, come ha ribadito la vicepostulatrice della causa di canonizzazione Stefania Falasca, ad essere beatificato non è il Papa né il suo pontificato, ma un cristiano che ha aderito con tutto sé stesso al Vangelo riconoscendosi “polvere”. Un cristiano che pregando ogni giorno: «Signore, prendimi come sono e fammi diventare come mi desideri», è diventato lo strumento attraverso il quale il Dio della misericordia ha scritto pagine bellissime e oggi più che mai attuali, per la Chiesa e per il mondo.
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