Francesco: comunicare è rendere le persone meno sole e dare voce agli esclusi
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Compito della comunicazione è “favorire la vicinanza, dare voce a chi è escluso, attirare l’attenzione su ciò che normalmente scartiamo e ignoriamo”: Francesco lo sottolinea nel discorso consegnato ai dipendenti e ai partecipanti all'assemblea plenaria del Dicastero per la Comunicazione, ricevuti stamani in udienza nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. Nel testo il Pontefice insiste su cosa significhi comunicare.
La comunicazione è, per così dire, l’artigianato dei legami, dentro i quali la voce di Dio risuona e si fa sentire.
I tre cardini della comunicazione
Il Papa indica tre punti sui quali la comunicazione va orientata: “rendere le persone meno sole”, “dare voce a chi non ha voce”, educarsi alla “fatica del comunicare”. Li sviluppa uno per uno e precisa che se la comunicazione “non fa diminuire la sensazione di solitudine a cui tanti uomini e donne si sentono condannati”, allora “è solo intrattenimento, non è artigianato di legami”. Invece, chiarisce Francesco, una persona si sente meno sola quando si accorge che le domande, le speranze, le fatiche che porta dentro trovano espressione al di fuori”.
Solo una Chiesa che è immersa nella realtà conosce davvero ciò che si trova nel cuore dell’uomo contemporaneo. Quindi, ogni vera comunicazione è fatta soprattutto di ascolto concreto, è fatta di incontri, di volti, di storie. Se non sappiamo stare nella realtà, ci limiteremo solo a indicare dall’alto direzioni a cui nessuno presterà ascolto. La comunicazione dovrebbe essere un grande aiuto per la Chiesa, per abitare concretamente nella realtà, favorendo l’ascolto e intercettando le grandi domande degli uomini e delle donne di oggi.
L’habitat naturale della Chiesa: le periferie esistenziali
Spesso, poi, la comunicazione emargina e censura “ciò che è scomodo e che non vogliamo vedere”, fa notare il Papa, compito della Chiesa, invece, è “stare con gli ultimi, e “suo habitat naturale” sono le “periferie esistenziali”.
Periferie esistenziali non sono solo coloro che per motivi economici si trovano ai margini della società, ma anche coloro che sono sazi di pane ma vuoti di senso, sono anche quanti vivono situazioni di marginalità a causa di alcune scelte, o di fallimenti familiari, o per vicende personali che hanno segnato in modo indelebile la loro storia.
Francesco invita a riflettere se la Chiesa è capace di dare “a questi fratelli e a queste sorelle”, se sa ascoltarli e se discernere “assieme a loro la volontà di Dio, e così rivolgere ad essi una Parola che salva”.
L’armonia della confusione
Infine l’educarsi alla fatica del comunicare. Nel Vangelo questa è evidente nei fraintendimenti e nelle “lentezze nel capire le parole di Gesù”, o nei “malintesi”, “così come capita a Giuda Iscariota, il quale confonde la missione del Cristo con un messianismo politico”.
Dobbiamo accettare nella comunicazione anche questa dimensione di “fatica”. Molto spesso coloro che guardano la Chiesa da fuori rimangono perplessi dalle diverse tensioni che vi sono in essa. Ma chi conosce il modo di agire dello Spirito Santo sa bene che Egli ama fare comunione tra le diversità, e creare l’armonia dalla confusione. La comunione non è mai uniformità, ma capacità di tenere insieme realtà molto diverse. Penso che dovremmo essere capaci di comunicare anche questa fatica senza avere la pretesa di risolverla o occultarla.
Il dissenso può essere ingrediente della comunione
E non è atteggiamento di rottura, il dissenso, osserva il Papa, anzi, “può essere uno degli ingredienti della comunione”. Perché “la comunicazione deve rendere possibile anche la diversità di vedute, cercando però sempre di preservare l’unità e la verità, e combattendo calunnie, violenze verbali, personalismi e fondamentalismi che, con la scusa di essere fedeli alla verità, spargono solo divisione e discordia”.
Osare nuove strade
Infine Francesco rimarca che quello del Dicastero per la Comunicazione non è un lavoro “semplicemente tecnico”, semmai “tocca il modo stesso di essere Chiesa”. “Servire la Chiesa significa essere affidabili e anche coraggiosi nell’osare strade nuove” conclude il Papa che esorta quanti lavorano nel Dicastero ad essere “sempre affidabili e coraggiosi”.
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