Siamo davvero ciò che comunichiamo?
Alessandro Gisotti
“Tutto ciò che non viene donato, va perduto”, ripeteva spesso Dominique Lapierre. Parole, quelle del giornalista e scrittore scomparso recentemente, che si possono collegare idealmente al Messaggio di Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, pubblicato martedì scorso. Il Papa ci invita - ancora una volta - ad essere artefici di una comunicazione integrale che non riguardi solo una parte di noi - per fini parziali o interessi strumentali - ma che coinvolga la globalità della persona, tutto il nostro essere. Parlare “con il cuore” non è un cedimento al sentimentalismo (o al sensazionalismo), tanto in voga ai nostri giorni, ma ha a che fare con un compito molto esigente: comunicare e donare se stessi. In qualche modo, prendendo ad esempio la testimonianza di San Francesco di Sales, il Messaggio ci suggerisce che siamo ciò che comunichiamo. O almeno così dovrebbe essere. Ecco perché uno dei punti chiave del documento (il decimo messaggio di Francesco agli operatori della comunicazione) è la citazione del Santo patrono dei giornalisti - “basta amare bene per dire il bene” - che ricorda l’agostiniano “ama e fa’ ciò che vuoi”.
Per il Papa, la comunicazione è movimento. Esiste se è in uscita, altrimenti è una eco che rimbalza stancamente in una stanza vuota. Nasce da un cuore che palpita e che - assieme al sangue nelle vene - fa circolare anche le nostre attese, i nostri desideri e i nostri sogni. Non a caso questo messaggio, incentrato sul “parlare con il cuore”, arriva dopo quelli dei due anni precedenti dedicati al vedere e all’ascoltare. Una trilogia che ruota attorno a tre verbi, tre azioni. Proprio come era accaduto nella prima omelia dopo l’elezione alla Cattedra di Pietro, quando il 14 marzo 2013 – nella Messa con i cardinali in Cappella Sistina – indicava in tre verbi, camminare, edificare, confessare, le pietre miliari lungo la via da percorrere per essere davvero discepoli di Gesù Cristo. Dieci anni dopo, Francesco osserva con rammarico che oggi le polarizzazioni e contrapposizioni, che sfigurano l’umanità, toccano anche la comunità ecclesiale e incrostano così quel cammino, quell’edificazione e quella confessione senza le quali non preghiamo il Signore ma il diavolo, come affermava Léon Bloy. Quante polemiche e quante controversie, mentre noi cristiani – ci ricorda il Messaggio – dovremmo saper custodire la lingua dal male per evitare incomprensioni e chiusure autoreferenziali.
In un tempo in cui c’è chi vorrebbe demandare all’intelligenza artificiale perfino i sentimenti e le emozioni, il Papa ci rammenta inoltre che c’è qualcosa che nessuna tecnologia potrà mai sostituire: il cuore umano. E così come quest’organo irrora il sangue e mantiene in vita il nostro corpo, a sua volta una comunicazione che nasce dal cuore deve vivificare le nostre relazioni e renderci più umani, più fratelli gli uni degli altri. La cultura dell’incontro – che spinge il Papa a rimettersi in cammino, fra pochi giorni, verso il cuore dell’Africa – ha bisogno di una comunicazione dalle braccia aperte. E richiede dei comunicatori coraggiosi e creativi che sappiano vincere la comoda tentazione del “si è sempre fatto così”. Nel Messaggio, Francesco osserva che il grande movimento impresso con il processo sinodale dovrebbe incidere anche sul nostro modo di comunicare come cristiani. Parafrasando il grande teologo Yves Congar, il Papa sembra incoraggiarci non tanto a fare un’altra comunicazione ecclesiale, quanto piuttosto una comunicazione diversa. Una comunicazione che sappia far ardere i cuori degli innumerevoli discepoli di Emmaus dei nostri giorni che attendono una parola di conforto e di speranza. Che trovi nell’incontro con il Signore la spinta ad uscire dai nostri recinti sempre più stretti e sempre meno popolati. Che promuova l’integralità della persona, rifiutando ogni integralismo che persegue invece una nostra riduzione a meri individui. Una comunicazione, infine, che non scagli le pietre che trova sulla strada, ma trasformi quelle stesse pietre in mattoni per costruire una casa comune per l’umanità.
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