Le atrocità raccontate al Papa da alcune vittime dell'Est della RD Congo
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Butembo-Beni, Goma, Bunia, Bukavu e Uvira, da questi luoghi situati nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, devastata da una violenza senza fine ad opera di diversi gruppi armati, provengono le 4 vittime di violenza che questo pomeriggio nell’incontro presso la Nunziatura Apostolica a Kinshasa, offrono la loro testimonianza a Papa Francesco.
La testimonianza di un giovane e di altri ragazzini
Il primo a parlare è Ladislas Kambale Kombi, 17 anni. Il suo racconto mette i brividi: dice che suo fratello maggiore è stato ucciso in circostanze ancora sconosciute, e anche il padre colpito “da uomini in pantaloni da addestramento e camicie militari”. Lui ha visto tutto e non riesce più a dormire. Da quegli uomini ha visto fare a pezzi il proprio padre, “poi la sua testa mozzata è stata messa in un cesto” e prima di andarsene hanno preso la mamma che non è più tornata. Così lui e le sue due sorelline sono rimasti soli. “È difficile comprendere una tale malvagità, questa brutalità quasi animale”, afferma e presenta al Papa altri giovanissimi che come lui hanno toccato con mano la violenza e dice: “In seguito all'accompagnamento spirituale e psicosociale della nostra Chiesa locale, io e gli altri bambini che sono qui abbiamo perdonato i nostri aguzzini. Ecco perché depongo davanti alla Croce di Cristo vincitore il machete uguale a quello che ha ucciso mio padre”. Anche Léonie Matumaini che frequenta la scuola elementare sotto alla croce vuol depone un coltello “uguale a quello che ha ucciso tutti i membri della mia famiglia in mia presenza e che mi è stato dato dai carnefici". Quindi Kambale Kakombi Fiston, 13 anni: “Perdono i carnefici che mi hanno rapito per 9 mesi. Chiedo a Cristo vincitore sulla croce di toccare il cuore degli aguzzini affinché liberino gli altri bambini che sono ancora nella boscaglia”.
Una ragazza di Goma: violentata per un anno e sette mesi
La testimonianza di Bijoux Mukumbi Kamala viene letta da Kissa Catarina, perché Bijoux, che le sta vicino, non sa leggere bene il francese. Ha 17 anni. Nel 2020, mentre andava a prendere l'acqua al fiume con altre ragazze, ha incontrato alcuni ribelli. “Ci hanno portato nella foresta. Ognuno dei ribelli scelse chi voleva - racconta -. Il comandante mi voleva. Mi ha violentato come un animale. È stata una sofferenza atroce. Sono rimasta praticamente come la sua donna. Mi violentava più volte al giorno, quando voleva, per diverse ore. E questo è andato avanti per 1 anno e 7 mesi”. Dopo tutto questo tempo un colpo di fortuna: l’occasione di fuggire con un’amica.
“Da questa esperienza - continua la sua testimonianza - sono tornata incinta. Ho avuto due bambine gemelle, che non conosceranno mai il loro padre. Le altre amiche che erano state rapite con me quel giorno non sono più tornate”. Denuncia le uccisioni compiute dovunque da decine di gruppi armati, le famiglie costrette a sfollare, i bambini rimasti orfani, sfruttati nelle miniere o come soldati, le ragazze e le donne violentate e torturate.
“Santità, in tutto questo la Chiesa rimane l'unico rifugio che cura le nostre ferite e consola i nostri cuori attraverso i suoi molteplici servizi di sostegno e conforto”. Sotto la croce di Cristo, Bijoux vuol mettere una stuoia “simbolo della mia miseria di donna violentata”. Le sue parole risuonano sconvolgenti quando chiede al Signore di perdonarla “per le condanne che ho fatto nel mio cuore contro questi uomini” e di perdonare i suoi stupratori e di portarli "a rinunciare a infliggere sofferenze inutili alle persone”. Insieme alla stuoia depone una lancia “uguale a quelle con cui sono stati trafitti i petti di molti nostri fratelli. Che Dio ci perdoni tutti - conclude - e ci insegni il rispetto per la vita umana.”
Una vittima di Bunia: abbiamo bisogno solo di pace
E’ la volta di un sacerdote, don Guy-Robert Mandro Deholo, mutilato nelle dita di una mano, che presenta la testimonianza che aveva scritto Désiré Dhetsina prima di scomparire, alcuni mesi fa, di cui non si hanno notizie. Era un sopravvissuto all’attacco ad un campo di sfollati avvenuto nella notte del 1° febbraio 2022 da parte di un gruppo armato che ha ucciso 63 persone, tra cui 24 donne e 17 bambini. “Ho visto la ferocia: persone tagliate come carne di macelleria, donne sventrate, uomini decapitati”. Parla di saccheggi, uccisioni, rapimenti continui in quel campo, “sembra - scrive - che l'esecuzione di un piano di sterminio, di annientamento fisico, morale e spirituale, continui ogni giorno”. Ed esprime il bisogno di pace, la volontà di tornare nei loro villaggi, di ricostruire le case, di coltivare di nuovo la terra, “lontano dal rumore delle armi! Vogliamo vivere con dignità come figli e figlie di Dio”. A nome suo e degli altri sfollati vengono posti sotto la croce alcuni machete e martelli “affinché Cristo ci perdoni per il sangue versato ingiustamente” e possa dare loro “momenti di pace e tranquillità in cui tutti abbiano buoni sentimenti l'uno per l’altro”.
La sofferenza di un'intera provincia: inondazioni e scontri
L’ultima testimonianza è di Emelda M'Karhungulu di Bugobe, località a sud-ovest di Bukavu. Anche lei non parla francese, è perciò Almée a leggere per lei. Aveva 16 anni quando una sera del 2005 i ribelli hanno fatto un'incursione nel suo villaggio “prendendo in ostaggio tutti quelli che potevano, facendo loro portare le cose che erano state saccheggiate”. Molti gli uomini uccisi lungo il tragitto, le donne portate al parco di Kahuzi-Biega. Il racconto testimonia violenze orribili: “Sono stata tenuta come schiava sessuale e abusata per tre mesi. Ogni giorno, da cinque a dieci uomini abusavano di ciascuna di noi. Ci hanno fatto mangiare la pasta di mais e la carne degli uomini uccisi. A volte mescolavano le teste delle persone con la carne degli animali. Questo era il nostro cibo quotidiano. Chi si rifiutava di mangiarlo veniva fatto a pezzi”. Fino al giorno in cui Emelda è riuscita a fuggire andando a prendere l'acqua al fiume.
Emelda è potuta tornata a casa e ricevere cure. “Attraverso l'animazione della Chiesa ho dovuto assumere e accettare la mia situazione. (…) Oggi vivo bene come una donna realizzata che accetta il suo passato”. Il racconto non si ferma alla sua sofferenza personale, denuncia che tutta la sua provincia “è un luogo di sofferenza e di lacrime”. E di fronte al Papa ricorda le vittime delle inondazioni dei fiumi di Mulongwe e di Kavimvira dell’aprile 2020 “che hanno perso tutto a causa dell'erosione selvaggia”. 60 persone rimaste sotto il fango delle inondazioni, 45 persone ferite, 3500 case distrutte, 7700 famiglie senza tetto. “I sopravvissuti vivono in campi disastrati dove condividono la tenda con 3 o 4 famiglie, cioè diverse decine di persone. (…) La prostituzione è in pieno sviluppo in questi ambienti di vita”. Ma non è tutto: a causa delle guerre tra etnie diverse dal 2019, “negli altipiani dei territori di Fizi, Mwenga/Itombwe e Uvira, più di 346.000 persone sono state sfollate”. A Papa Francesco esprime la gioia e la gratitudine di tutte le “vittime di atrocità e di altri disastri”, per aver voluto intraprendere questo viaggio e manifestare la sua vicinanza. Il gesto che compie è quello di mettere sotto la croce alcuni abiti degli uomini armati “che ancora ci fanno paura”. E conclude: “Vogliamo un futuro diverso. Vogliamo lasciarci alle spalle questo passato oscuro e poter costruire un bel futuro. Chiediamo giustizia e pace. Perdoniamo i nostri carnefici per tutto quello che hanno fatto e chiediamo al Signore la grazia di una convivenza pacifica, umana e fraterna".
Un gesto di riconciliazione e un atto d'impegno
Dopo il discorso del Papa, le vittime di violenza che hanno reso la loro testimonianza recitano insieme un atto di impegno con cui vogliono esprimere la volontà di essere segno di pace e di riconciliazione per il loro Paese:
"Signore, Dio nostro, dal quale abbiamo ricevuto il nostro essere e la vita, oggi deponiamo gli strumenti della nostra sofferenza sotto la Croce di Tuo Figlio. Noi ci impegniamo a perdonarci vicendevolmente e a rifuggire da ogni percorso di guerra e di conflitto per risolvere le divergenze. Noi Ti chiediamo, Padre, per la tua grazia, di fare del nostro Paese un luogo di pace e di gioia, di amore e di pace dove tutti si amano e convivono fraternamente”.
Al Signore chiedono, infine, che li accompagni sempre e a Papa Francesco, che al termine dell'incontro li benedirà, di pregare per loro.
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