Il nunzio in Sud Sudan: Francesco ha portato la presenza di Dio a Giuba
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Francesco in Sud Sudan ha portato la presenza di Dio, la sua energia positiva è arrivata al popolo e al governo, la sua visita ha aperto alla speranza in un Paese massacrato da violenza e povertà. A poco più di un mese dal viaggio del Papa a Giuba, dal 3 al 5 febbraio, il nunzio in quel Paese, monsignor Hubertus Matheus Maria van Megen, racconta le aspettative che la presenza del Pontefice ha aperto e la possibilità che si possano riallacciare i fili della pace. Il nunzio, lo scorso lunedì 6 marzo, è stato ricevuto dal Papa, al quale ha riportato gli sviluppi della sua visita:
Per me è stato un grande piacere rivedere il Papa. È sempre una grazia, un grande privilegio poterlo incontrare, anche perché nei giorni a Giuba abbiamo trascorso tempo insieme, si costruisce anche un certo legame un po’ più personale, un certo legame di amicizia. Il Papa è stato entusiasta della visita a Giuba, e ha condiviso le sue impressioni di questa città, del Paese ha visto solo la capitale, però ha visto la gente e lui è rimasto molto toccato dall'entusiasmo delle persone, anche perché naturalmente ha la consapevolezza della sofferenza ma, nonostante la sofferenza, e nonostante tutto ciò che questo popolo ha già passato, sono stati giorni di gioia, di allegria, di festa, poter stare con il Santo Padre. Il Sud Sudan, ma anche altri Paesi dell'Africa, vedono nel Santo Padre, molto più di un occidentale, proprio una presenza quasi divina, cioè Dio è presente in lui. Noi parliamo del Vicario di Cristo, per loro è di più, è Dio che si presenta nel Papa in questo senso. Quindi, per loro, anche se il Santo Padre non avesse detto nulla, sarebbe ancora stata una grande festa, sapendo che Dio sta con loro. E questo mi ha toccato, si sentiva questa vibrazione di gioia e quasi di una presenza spirituale tra il popolo.
Eccellenza, e il dopo per questo popolo quale è stato, dopo la partenza del Papa?
La domenica (5 febbraio ndr) il Papa è partito, già dal lunedì i rappresentanti del governo, e poi anche della comunità diplomatica di Giuba, sono venuti alla Nunziatura a parlare con noi ponendo delle domande: che cosa facciamo adesso? Come possiamo continuare? La richiesta era di come poter mantenere questo momento, direi quasi di grazia e di entusiasmo, che in qualche modo ha dato una nuova energia, anche al processo di pace che si era quasi fermato, che è in un momento di stallo. Il Papa con la sua visita ha dato di nuovo un’apertura, cioè ha dato una nuova speranza a tutto il popolo e questo si è sentito anche con i rappresentanti del Governo e con i diplomatici che sono rimasti toccati da questa energia, da queste parole del Papa e che hanno detto “dobbiamo continuare con queste parole del Papa, non possiamo lasciare così” . Il Papa è stato a Juba una giornata e mezza, ha detto tante cose e adesso tocca a noi capire come riflettere di nuovo su questo messaggio del Papa, vedere come metterlo in pratica, siamo all'inizio di questo processo, occorre capire adesso come continuare e come mantenere questa energia positiva, affinché questo popolo veramente possa finalmente vivere nella pace e nella giustizia. Si deve anche pur dire che politicamente in questo mese non è cambiato nulla e forse ci si aspetta anche troppo, questi sono processi che vanno molto lentamente, ci vuole tempo, in Africa ancora di più, però io personalmente ho buone speranze che con questo messaggio del Papa, con questo suo gesto di venire a Giuba, si è aperta una nuova porta, si è data nuova speranza al popolo e credo che anche il Governo sia stato toccato dalla bontà del Padre come rappresentante di Cristo su questa terra.
La Santa Sede a questo punto che ruolo avrà? Come monitorerà l'andamento di questo processo di pace?
Io penso che la Santa Sede abbia il ruolo di accompagnare questo processo. Il Papa, nel suo discorso di sabato mattina al clero e religiosi nella cattedrale di Giuba, ha parlato molto del ruolo profetico della Chiesa e dei leader, che devono prendere un'iniziativa profetica, che devono coinvolgersi con il governo per trovare soluzioni di giustizia, Naturalmente, in primo luogo, sarà la Chiesa locale a coinvolgersi col governo, cioè dobbiamo secondo me evitare che siano di nuovo gli stranieri che cercano di trovare le soluzioni che spesso, però, sono soluzioni occidentali, e che in Africa non funzionano. È meglio che un africano parli con un africano e cerchi una soluzione africana, come diceva anche padre Comboni, che diceva che l'Africa viene salvata dagli africani, e non dagli occidentali e questo mi sembra molto importante. A mio giudizio, è mia opinione personale, noi diplomatici della Santa Sede, come Santa Sede, possiamo accompagnare questo processo, ma noi non siamo quelli che giocano il ruolo attivo.
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