“Pacem in terris”, Giovanni XXIII la spiegò a tutti così
Alessandro De Carolis - Città del Vaticano
Un grande spartito ha bisogno della sua prima nota per arrivare a essere un capolavoro. La prima nota della Pacem in terris - capolavoro di Giovanni XXIII - risuona in un radiomessaggio, 20 righe appena, imparagonabile all’enciclica che uscirà appena sei mesi dopo. Eppure è quel messaggio la prima nota. L’appunto, per così dire, che già contiene in embrione l’intero del documento destinato a suscitare grandi apprezzamenti internazionali, e critiche e dibattiti, e che resta a 60 anni dalla sua pubblicazione un caposaldo del magistero dei Papi sulla pace.
La scintilla
È il 25 ottobre 1962, apice della crisi dei missili a Cuba, del frangente in cui il dito delle due superpotenze, Usa e Urss, sta sfiorando il pulsante dell’olocausto nucleare. Il giorno prima il sistema di allerta statunitense era passato a DEFCON 2, quello immediatamente sotto alla guerra atomica e dunque, mentre il mondo trema, Giovanni XXIII decide di indirizzare una vera e propria supplica a “chi ha la responsabilità del potere”. Parla in francese, la lingua della diplomazia internazionale, citando un pensiero che aveva rivolto in un altro contesto e che suona così:
La main sur la conscience…
Con la mano sulla coscienza, ascoltino il grido angoscioso che da ogni punto della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dai singoli alle comunità, sale verso il Cielo: pace! Pace.
Poi idealmente in ginocchio ripete:
Nous supplions tous les gouvernants…
Preghiamo tutti i governi di non rimanere sordi a questo grido di umanità.
Papa Roncalli: ecco perché è nuova
Come gli storici hanno ampiamente documentato, quelle parole innescano un processo creativo molto rapido. Monsignor Pietro Pavan - esperto di dottrina sociale della Chiesa, Giovanni Paolo II lo creerà cardinale - scrive la prima bozza dell’enciclica, Papa Roncalli la sottopone a varie revisioni finché il testo vede la luce l’11 aprile 1963. Da quel momento - anzi fin dal momento della firma - Giovanni XXIII non perde occasione per parlare del documento, dando lui stesso risalto ad alcuni aspetti che 60 anni dopo è interessante rileggere e ascoltare.
Due giorni prima, il 9 aprile, Martedì Santo, il Papa nel breve discorso per la firma dell’enciclica, si trasforma quasi in cronista indicando fra l’altro quale sia una delle novità più grandi della Pacem in terris e perché, la scelta di rivolgersi non solo ai credenti ma a chiunque, come mai fatto in passato:
Ciò spiega una innovazione propria di questo documento, indirizzato non solo all'Episcopato della Chiesa universale, al Clero e ai fedeli di tutto il mondo, ma anche “a tutti gli uomini di buona volontà”. La pace universale è un bene che interessa tutti indistintamente; a tutti quindi abbiamo aperto l'animo Nostro.
Tornando a casa portate la pace
Il 13 aprile è il Sabato Santo e Giovanni XXIII diffonde un lungo radiomessaggio in cui trovano spazio considerazioni sull’enciclica appena promulgata. La parola “pace” ritorna una trentina di volte, Papa Roncalli definisce la Pacem in terris “il Nostro dono di Pasqua dell'anno del Signore 1963” e conclude con una preghiera che è, di nuovo, un riverbero del suo primo appello ai governanti:
Illumina i reggitori dei popoli, affinché, accanto alle giuste sollecitudini per il benessere dei loro fratelli, garantiscano e difendano il grande tesoro della pace; accendi le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rinsaldare i vincoli della mutua carità, a essere pronti a comprendere, a compatire, a perdonare.
Passano poco meno di due settimane e arriva il 24 aprile, giorno di udienza generale. Se il 9 “il Papa buono” aveva confessato “profonda emozione” nell’offrire l’enciclica, davanti alla gente che lo ascolta in Basilica condivide la “grande letizia” per i tanti echi positivi che gli stanno arrivando. Spiega che la scelta di averla pubblicata il Giovedì Santo coincide col messaggio di Gesù ai discepoli nel cenacolo - “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” - quindi lancia una proposta che ricalca nel tono e nelle parole il suo già popolarissimo “discorso alla Luna” dell’11 ottobre ’62, la sera del giorno d’apertura del Concilio. Ma stavolta, al medesimo incipit “tornando a casa”, segue un invito meno tenero e più impegnativo:
Tornando nella vostra patria, nella vostra casa, siate ovunque portatori di pace: pace con Dio nel santuario della coscienza; pace nella famiglia; pace nella professione; pace con tutti gli uomini, per quanto ciò dipende da voi: in tal modo vi saranno assicurati la stima e la riconoscenza di tutti, e i favori del Cielo e della terra. Siate sempre degli itineranti di pace!
“Nelle menti e nei cuori di tutti”
Giovanni XXIII è felice ma anche molto provato dalla malattia e stanco. Tuttavia ha modo di tornare a parlare della Pacem in terris in quello che sarà il suo ultimo impegno ufficiale, l’11 maggio al Quirinale per il conferimento da parte del presidente italiano Antonio Segni del premio che gli ha assegnato la Fondazione Balzan “per l'umanità, la pace e la fratellanza fra i popoli”. Il giorno prima, per la stessa circostanza, si erano svolti due eventi, uno nella Sala regia del Palazzo apostolico e poi nella Basilica di San Pietro, presenti cardinali e diverse personalità del mondo letterario e scientifico. Nel primo dei due incontri, ringraziando per il premio, Papa Roncalli fa una constatazione, una fiduciosa lettura di quanto sta accadendo:
L'aspirazione ad una pace giusta, di cui oggi siamo felici testimoni, è penetrata nelle menti e nei cuori di tutti, indistintamente, ma con un'enfasi più marcata, sembra, all'interno delle classi lavoratrici.
Dunque, non più la pace appannaggio della coscienza dei soli “reggitori dei popoli”, ma una consapevolezza che pare aver allargato la sua base, che coinvolge adesso anche la gente comune, grazie certamente all’eco che il documento ha avuto. Ventiquattro giorni dopo Giovanni XXIII si spegne, ma lo spartito della sua Pacem in terris resta una sinfonia universale. Lo rimane fin dalla prima nota di quel breve radiomessaggio del ’62, che oggi ritorna come eco ai tanti appelli di Francesco ai leader comunità internazionale, nell’epoca della guerra mondiale a pezzi:
Qu’ils fassent tout ce qui...
Lascia che facciano tutto in loro per salvare la pace. Risparmieranno così al mondo gli orrori di una guerra le cui spaventose conseguenze nessuno può prevedere.
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