Il Papa alla Chiesa ungherese: la fede non sia ideologia, stare sempre vicino a chi soffre
Michele Raviart – Città del Vaticano
Interpretare i cambiamenti e le trasformazioni della nostra epoca per affrontare al meglio le sfide pastorali è possibile solo guardando a Cristo risorto, che è al centro della storia ed è il nostro futuro. Solo contemplando la sua gloria possiamo infatti “guardare alle tempeste che a volte si abbattono sul nostro mondo, ai cambiamenti rapidi e continui della società e alla stessa crisi di fede dell’Occidente con uno sguardo che non cede alla rassegnazione e che non perde di vista la centralità della Pasqua”. A ricordarlo è Papa Francesco rivolgendosi a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, seminaristi e operatori pastorali ungheresi. Oltre mille persone riunite nella concattedrale di Santo Stefano a Budapest per incontrare il Pontefice.
Portare frutto nel tempo che viviamo
La nostra vita, ricorda Francesco, al suo secondo appuntamento del viaggio apostolico iniziato oggi, è infatti saldamente posta nelle mani di Dio e perciò, come ricorda la parabola del fico nel Vangelo di Marco, siamo chiamati ad“accogliere come una pianta feconda il tempo che viviamo, con i suoi cambiamenti e le sue sfide”. In attesa dell’arrivo del Signore, “siamo chiamati a coltivare questa nostra stagione, a leggerla, a seminarvi il Vangelo, a potare i rami secchi del male, a portare frutto”.
Cercare linguaggi nuovi nel secolarismo
Anche in Paesi come l’Ungheria, infatti, “dove la tradizione di fede rimane ben radicata”, si assiste alla diffusione del secolarismo e a quello che lo accompagna e “che spesso rischia di minacciare l’integrità e la bellezza della famiglia, di esporre i giovani a modelli di vita improntati al materialismo e all’edonismo, di polarizzare il dibattito su tematiche e sfide nuove”. Realtà difficili che tuttavia “possono rappresentare delle opportunità per noi cristiani, perché stimolano la fede e l’approfondimento di alcuni temi” e “invitano a chiederci in che modo queste sfide possano entrare in dialogo con il Vangelo, a cercare vie, strumenti e linguaggi nuovi”.
Davanti a qualsiasi secolarizzazione, infatti, c’è una sfida e un invito a purificare la Chiesa da ogni sorta di mondanità
Evitare il disfattismo catastrofico e il conformismo mondano
In questo contesto infatti sono due le tentazioni, dice il Papa, che la Chiesa deve evitare. Da un lato, il disfattismo catastrofico “di chi ripete che tutto è perduto, che non ci sono più i valori di una volta, che non si sa dove andremo a finire”. Così si corre il rischio “di irrigidirsi, di chiudersi e assumere un atteggiamento da “combattenti’”. Dall’altro, il più grave conformismo mondano, “lettura ingenua del proprio tempo, che si fonda sulla comodità del conformismo e ci fa credere che in fondo vada tutto bene, che il mondo ormai è cambiato e bisogna adeguarsi”. Bisogna quindi “tornare a Cristo, come il futuro, per non cadere nei venti cambiati della mondanità” che, ricorda il Papa, è una sorta di “paganesimo soft” ed “è forse il peggio che può accadere a una comunità cristiana”.
L’accoglienza aperta alla profezia
Quello a cui la comunità cristiana è chiamata, per essere invece presente e testimoniante, è saper ascoltare le domande e le sfide senza paura o rigidità, in quella che deve essere un’”accoglienza aperta alla profezia”:
Si tratta di imparare a riconoscere i segni della presenza di Dio nella realtà, anche laddove essa non appare esplicitamente segnata dallo spirito cristiano e ci viene incontro con il suo carattere di sfida o di interrogativo. E, al contempo, si tratta di interpretare tutto alla luce del Vangelo senza farsi mondanizzare.
Il sovraccarico di lavoro per i sacerdoti
Questo, ricorda il Papa, non è facile, perché anche all’interno della Chiesa non mancano delle fatiche, come ad esempio “il sovraccarico di lavoro per i sacerdoti”
Da un lato, infatti, le esigenze della vita parrocchiale e pastorale sono numerose ma, dall’altro, le vocazioni calano e i preti sono pochi, spesso avanti negli anni e con qualche segno di stanchezza. Questa è una condizione comune a molte realtà europee, rispetto alla quale è importante che tutti – pastori e laici – si sentano corresponsabili: anzitutto nella preghiera, perché le risposte vengono dal Signore e non dal mondo, dal tabernacolo e non dal computer.
Senza gioco di squadra, si fa il gioco del nemico
Una buona pastorale, sottolinea il Papa, è possibile solo “se siamo capaci di vivere quell’amore che il Signore ci ha comandato e che è dono del suo Spirito”. Se siamo distanti o divisi, prosegue Francesco, “non portiamo frutto”.
È triste quando ci si divide perché, anziché fare gioco di squadra, si fa il gioco del nemico. Il diavolo è quello che divide, ed è un artista a fare questo, è la sua specialità. E noii Vescovi scollegati tra loro, i preti in tensione col Vescovo, quelli anziani in conflitto con i più giovani, i diocesani con i religiosi, i presbiteri con i laici, i latini con i greci; ci si polarizza su questioni che riguardano la vita della Chiesa, ma pure su aspetti politici e sociali, arroccandosi su posizioni ideologiche.
L’atto di fede non può infatti essere ridotto ad ideologia. Questo è il demonio. Un grande tesoro, invece, ci è stato messo nelle mani, ricorda Francesco, “non sprechiamolo inseguendo realtà secondarie rispetto al Vangelo!”
Stare vicino ai cristiani perseguitati e ai migranti
Quello che è richiesto ai sacerdoti, sottolinea il Papa, è poi “avere uno sguardo misericordioso, un cuore compassionevole, che perdona sempre”, che aiuta a ricominciare, che accoglie e non giudica, incoraggia e non critica, serve e non chiacchiera”. Il chiacchiericcio, infatti, “sembra una caramella di zucchero” quando invece è una strada che porta alla distruzione, e va sconfitto con la preghiera o mordendosi la lingua
Questo ci allena all’accoglienza che è profezia: a trasmettere la consolazione del Signore nelle situazioni di dolore e di povertà del mondo, stando vicini ai cristiani perseguitati, ai migranti che cercano ospitalità, alle persone di altre etnie, a chiunque si trovi nel bisogno.
Il ringraziamento del Papa per le testimonianze che lo hanno preceduto
Francesco ringrazia poi quanti hanno lasciato la propria testimonianza prima del suo discorso. Di suor Krizsitina, il Papa ha apprezzato il bisogno di “discutere bene con il Signore!”. È un’occasione, questa, per un invito a compiere tutti una riflessione ecclesiale e sinodale, “aggiornando la vita pastorale senza ripetere il passato e senza paura di riconfigurare la parrocchia sul territorio”, e avendo come priorità l’evangelizzazione. Della catechista Dorina il Pontefice sottolinea il “bisogno di raggiungere il prossimo attraverso la narrazione, la comunicazione, toccando la vita quotidiana. È speciale il ringraziamento del Papa ai catechisti, definiti “colonne della Chiesa”. Il ricordo di don Jòzsef, fratello del Beato Jànos Brenner, ucciso dopo la rivolta del 1956, ha colpito particolarmente il Papa, che lo beatificò nel 2018.
Quanti testimoni e confessori della fede ha avuto questo popolo durante i totalitarismi dello scorso secolo. Avete sofferto tanto
L’esempio dei Santi ungheresi
Sono numerosi infatti i grandi esempi di santità nella storia dell’Ungheria. Dallo stesso Beato Jànos , “che ha vissuto sulla sua pelle tante sofferenze “ e che è stato un “buon pastore” sebbene sarebbe stato più facile per lui “serbare rancore, chiudersi, irrigidirsi”. A San Martino di Tours, nato in Pannonia – l’odierna Ungheria – che quando decise di dividere il suo mantello con il povero, restituì “l’immagine di Chiesa verso cui tendere”. Misericordia e prossimità che è ciò che la Chiesa di Ungheria può portare come profezia nel cuore dell’Europa. Senza dimenticare Santo Stefano, primo re del Paese, che affidò la nazione a Maria e “che sapeva anche ascoltare e dialogare con tutti e occuparsi dei poveri: abbassò per loro le tasse andava a fare l’elemosina per non essere riconosciuto”.
Questa è la Chiesa che dobbiamo sognare: una Chiesa capace di ascolto vicendevole, di dialogo, di attenzione ai più deboli; una Chiesa accogliente verso tutti, e una Chiesa coraggiosa nel portare a ciascuno la profezia del Vangelo.
La storia e il futuro dipendono dalla preghiera
Dopo aver nuovamente ricordato le suore ungheresi della Società di Gesù, che incontrò in Argentina dopo che erano fuggite dalla persecuzione religiosa, il pensiero di Francesco va anche al cardinale Mindszenty, morto nel 1975 e al suo detto “Se ci saranno un milione di ungheresi in preghiera, non avrò paura del futuro”. L’invito ai pastori e ai credenti ungheresi, dalla fede "granitica", è quindi ad essere accoglienti e testimoni della profezia del Vangelo e ad essere donne e uomini di preghiera: “La storia e il futuro dipendono da questo”.
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