Il Papa: oggi troppe vite "distillate", agire concretamente per i più fragili
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Realtà concrete di “amore in azione”: per il Papa questo sono i centri di assistenza e di carità e gli enti che offrono aiuto, tra i quali il Centro Sociale Parrocchiale San Vincenzo de’ Paoli, la Casa Famiglia Ajuda de Berço e l’Associazione Acreditar, dove ogni giorno tante persone si spendono per il prossimo. Il Papa ne incontra una rappresentanza nel periferico e problematico quartiere di Serafina, al Centro San Vincenzo de’ Paoli, che ha spazi per anziani, giovani e bambini, sostiene famiglie bisognose, accoglie persone non autosufficienti e offre cure mediche. La carità “è l’origine e la meta del cammino cristiano”, dice Francesco nel suo discorso dopo avere ascoltato tre testimonianze, dalle quali prende spunto per “sottolineare tre aspetti: fare il bene insieme, agire concretamente e stare vicini ai più fragili”.
Vivere, aiutare, amare insieme
“Fare il bene insieme” è quel “vivere, aiutare e amare” di “giovani e adulti, sani e malati, insieme”, osserva il Papa, evidenziando che proprio il vocabolo “insieme è la parola chiave” ricorrente negli interventi dei suoi interlocutori. E circa il contributo che si può dare “all’insieme della comunità”, Francesco invita a non lasciarsi definire da malattie e problemi, “perché non siamo una malattia o un problema”.
Ciascuno di noi è un regalo, è un dono, un dono unico, con i suoi limiti, ma un dono, un dono prezioso e sacro per Dio, per la comunità cristiana e per la comunità umana. Allora, così come siamo, così come siamo, arricchiamo l’insieme e lasciamoci arricchire dall’insieme!
L’amore concreto, quello che si sporca le mani
Quanto all’agire concretamente, il Papa esorta ad avere “attenzione al ‘qui e ora’”, “con cura dei particolari e senso pratico, belle virtù tipiche del popolo portoghese”, perché, come diceva San Giovanni XXIII, “la Chiesa non è un museo di archeologia”, come pensano alcuni, ma “l’antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come a quelle futuro”. E “la fontana serve per placare la sete e le persone che arrivano con il peso del viaggio o della vita" aggiunge Francesco, che poi decide di proseguire il suo discorso a braccio e si sofferma sulla concretezza, affermando che l’amore astratto non esiste. L’amore è concreto, dice, è “quello che si sporca le mani”, da qui l’invito a chiedersi se quello che ciascuno sente verso gli altri è amore “concreto o astratto”.
Quando do la mano a una persona bisognosa, a un malato, a un emarginato, dopo aver dato la mano, faccio subito così perchè non farmi contagiare? Mi disgusta la povertà, la povertà degli altri? Cerco sempre la vita distillata, quella che esiste nella mia fantasia, ma non esiste nella realtà. Quante vite distillate inutili. Che passano la vita senza lasciare traccia, perché la loro vita non ha peso.
Le realtà assistenziali e caritative generano vita
Le chiama realtà che lasciano una traccia, il Papa, quelle che incontra al Centro di Serafina; realtà consolidate da anni che sono di ispirazione per gli altri. Francesco rimarca che non potrebbe esistere una Giornata Mondiale della Gioventù senza tener conto di queste realtà, "perché anche questo è gioventù", nel senso che tali realtà generano continuamente vita nuova. Con il loro impegno, con il loro sporcarsi le mani, per aver toccato la miseria degli altri, le realtà assistenziali e caritative generano ispirazione e vita, afferma il Papa, che infine, invita quanti si impegnano per il prossimo ad andare avanti, a non scoraggiarsi e scherza: “E se vi scoraggiate, prendete un bicchiere d’acqua e andate avanti!”.
Andare incontro ai bisogni degli altri
Nel discorso consegnato Francesco rimarca che “quando non si perde tempo a lamentarsi della realtà, ma ci si preoccupa di andare incontro ai bisogni concreti, con gioia e fiducia nella Provvidenza, accadono cose meravigliose”. Proprio bisogni concreti, problemi di vita ed esperienze di malattia hanno fatto nascere il Centro Sociale Parrocchiale San Vincenzo de’ Paoli, la Casa Famiglia Ajuda de Berço e l’Associazione Acreditar, fa notare il Papa, che incoraggia a lasciarsi “interrogare dalla realtà, con le sue povertà antiche e nuove, e a rispondere in modo concreto, con creatività e coraggio”. E ancora a “stare vicini ai più fragili”. Verso di loro spinge “lo sguardo di compassione del Vangelo” che “ci porta a vedere le necessità di chi ha più bisogno”, rimarca Francesco, “a servire i poveri”.
Gli esclusi, gli emarginati, gli scartati, i piccoli, gli indifesi. Sono loro il tesoro della Chiesa, sono i preferiti di Dio! E, tra di loro, ricordiamoci di non fare differenze. Per un cristiano, infatti, non ci sono preferenze di fronte a chi bussa bisognoso alla porta: connazionali o stranieri, appartenenti a un gruppo o ad un altro, giovani o anziani, simpatici o antipatici...
Una storia di carità: San Giovanni di Dio
Infine nel testo preparato il Papa racconta la storia di carità del portoghese Giovanni Ciudad, noto a tutti come San Giovanni di Dio, fondatore dei Fratelli Ospedalieri, i “Fatebenefratelli”, giovane che “sognava una vita avventurosa” e lasciò la sua casa in cerca della felicità, poi trovata, “dopo tanti anni e molte avventure, quando incontrò Gesù”. Chiedeva l’elemosina per strada, Giovanni, “dicendo alla gente: ‘Fate del bene, fratelli, a voi stessi’”, per far capire che “i gesti d’amore sono un dono anzitutto per chi li fa, prima ancora che per chi li riceve; perché tutto quello che si accaparra per sé andrà perso, mentre quello che si dona per amore non andrà mai sprecato, ma sarà il nostro tesoro in cielo”.
L’amore non rende felici solo in cielo, bensì già qui in terra, perché dilata il cuore e permette di abbracciare il senso della vita. Se vogliamo essere davvero felici, impariamo a trasformare tutto in amore, offrendo agli altri il nostro lavoro e il nostro tempo, dicendo parole e compiendo gesti buoni, anche con un sorriso, con un abbraccio, con l’ascolto, con lo sguardo.
Giovanni di Dio non venne capito, “pensavano che fosse matto e lo chiusero in un manicomio”, spiega il Papa, eppure “non si demoralizzò, perché l’amore non si arrende, perché chi segue Gesù non perde la pace e non si piange addosso”. In quella situazione Giovanni “si rese conto di quanto i malati avessero bisogno di aiuto”, così, uscito dall’ospedale psichiatrico “cominciò a prendersi cura di loro con altri compagni, fondando un ordine religioso”. Allora “aiutare gli altri è un dono per sé e fa bene a tutti”, conclude Francesco, invitando “a fare della vita un regalo d’amore e di gioia”.
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