Il Papa: a 60 anni dalla “Pacem in Terris” il possesso di armi nucleari è immorale
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Dobbiamo “mantenere viva” la visione che “un mondo libero da armi nucleari è possibile e necessario”, e sono convinto che “l'uso dell’energia atomica per scopi bellici è immorale, così come è immorale il possesso di armi nucleari”. Il Papa ribadisce quanto dichiarato nel gennaio del 2022, prima dell’inizio della guerra in Ucraina, durante il tradizionale discorso di inizio anno al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, e poi il 24 novembre 2019 al Memoriale della pace di Hiroshima. Francesco invita ad ascoltare “l’ammonimento profetico di Papa Giovanni XXIII” nell’enciclica Pacem in Terris, secondo cui, “alla luce della terrificante forza distruttiva delle armi moderne”, è ancora più evidente che “le relazioni tra gli Stati, come tra gli individui, devono essere regolate non dalla forza armata, ma secondo i principi della retta ragione: i principi, cioè, della verità, della giustizia e della cooperazione vigorosa e sincera”.
Oggi come 60 anni fa nella crisi dei missili di Cuba
In un messaggio inviato al cardinale Peter Turkson, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, e ai partecipanti alla Conferenza internazionale che commemora i 60 anni della Pacem in Terris, sul tema “La guerra e altri ostacoli per la pace”, che si tiene oggi e domani 20 settembre alla Casina Pio IV in Vaticano, Francesco sottolinea che “il momento attuale assomiglia in modo inquietante al periodo immediatamente precedente alla Pacem in Terris”, e alla crisi dei missili di Cuba che nell’ottobre 1962 portò il mondo sull'orlo di una “diffusa distruzione nucleare”. E purtroppo in questi anni, spiega ancora nel messaggio inviato agli studiosi convocati dalla Pontificia accademia e dall'Istituto di Ricerca sulla Pace di Oslo, le armi nucleari sono cresciute in numero e potenza e sono aumentate anche altre tecnologie belliche, come è in pericolo il consenso sulla proibizione di armi chimiche e biologiche. Per questo, sottolinea il Pontefice, “il lavoro delle Nazioni Unite e delle organizzazioni affini nel sensibilizzare l’opinione pubblica e nel promuovere misure normative adeguate rimane fondamentale”.
Armi convenzionali da usare solo per difesa e non sui civili
Analogamente, prosegue Papa Francesco nel suo messaggio, la preoccupazione “per le implicazioni morali della guerra nucleare non deve far passare in secondo piano” i problemi etici sempre più urgenti sollevati dall’uso nella guerra contemporanea delle cosiddette “armi convenzionali”, che dovrebbero essere utilizzate soltanto a scopo difensivo e non dirette ad obiettivi civili. E conclude definendo “molto opportuno che questa Conferenza dedichi le sue riflessioni a quelle parti della Pacem in terris che discutono del disarmo e dei percorsi per una pace duratura”, augurandosi che le conclusioni dell’incontro, “oltre ad analizzare le attuali minacce militari e tecnologiche alla pace, includano una disciplinata riflessione etica sui gravi rischi associati al continuo possesso di armi nucleari, sull’urgente necessità di un rinnovato progresso nel disarmo e sullo sviluppo di iniziative per la costruzione della pace”.
Turkson: senza fiducia tra gli Stati non si coltiva la pace
Il cardinale Peter Turkson, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, raggiunto da Vatican News in una pausa dei lavori, spiega che quello di san Giovanni XXIII nella Pacem in Terris è un “testamento all’umanità”, e che anche nel magistero di Papa Francesco “c'è invito all'umanità a considerare che senza rispetto per la dignità delle persone, la loro libertà, l’amore e la fiducia non si riesce a coltivare una cultura della pace”. Il cardinale ghanese, che nel suo intervento introduttivo ha ripercorso l’evoluzione della diplomazia pontificia da Pio IX a Papa Francesco, ricorda che se Papa Roncalli chiedeva di proibire l’uso delle armi nucleari, Bergoglio “considera immorale anche la semplice fabbricazione e il possesso di ordigni atomici”. Così non si parla più di “equilibrio fra missili, ma del cambiamento di cuore”.
60 anni dopo, “si tratta sempre della presenza incomoda di missili”
Commentando ancora il messaggio del Pontefice, Turkson condivide la considerazione che “la situazione che ha ispirato san Giovanni XXIII a scrivere la Pacem in Terris è molto simile a quella attuale”. Ora come allora “la crisi riguarda la presenza incomoda di missili. La Russia teme che l’Ucraina filo occidentale concederà alla Nato di portare missili alla sua frontiera. La stessa paura di Kennedy 60 anna fa con Cuba”. Ma le cose comunque sono cambiate, prosegue il cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. “È sempre un problema di missili, ma oggi c’è una tecnologia che non esisteva prima, soprattutto l’intelligenza artificiale e i droni. Speriamo che facendo memoria di quel grande documento e del contesto nel quale è nato, e sottolineando l'attualità della minaccia resa ancora più terribile delle tecnologie disponibili, possiamo risvegliare la coscienza dell'umanità”.
La diplomazia del Papa, autorità morale e imparzialità
Sempre nel suo intervento, il cardinal Turkson ha parlato dell’autorità morale e delle possibilità di mediazione che la Santa Sede ha sviluppato dalla fine del XIX secolo a oggi, che sono alla base della sua diplomazia. “Da qui nasce anche il ruolo imparziale della Chiesa – ci spiega - Quando ci sono conflitti fra Nazioni non si sceglie una parte, ma li si considera come due figli in lotta. Una mediazione che ha avuto successo tra Argentina e Cile, o anche tra Spagna e Germania sull’Arcipelago delle Canarie. Anche l’attuale missione del cardinal Matteo Zuppi in Ucraina, Russia, Stati Uniti e Cina è legata a questo desiderio di favorire una pace che consiste nel rispetto del diritto alla vita umana e di tutti gli altri diritti dell’uomo”.
Suor Alford: i Papi ci dicono che la guerra non può riparare le ingiustizie
A ricordare i temi principali dell’enciclica di san Giovanni XXIII è stata suor Helen Alford, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, a partire dalla concetto che “In quest'epoca che si vanta della sua potenza atomica, non ha più senso sostenere che la guerra sia uno strumento adatto a riparare la violazione della giustizia”. Nonostante documenti importanti come il Trattato di non proliferazione nucleare del 1968 e il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari del 2017, “la cupa realtà della guerra è ancora molto presente” hanno scritto suor Alford e Gregory Reichberg, docente ricercatore all’Istituto di Ricerca sulla Pace di Oslo (Norvegia), che con la Pass ha organizzato la conferenza, nell’introduzione ai lavori. “La ricerca sull'intelligenza artificiale ha permesso lo sviluppo di nuovi sistemi d'arma automatizzati, mentre le tecnologie digitali sono sempre più utilizzate come armi nei conflitti informatici. Forme potenti di disinformazione digitale sono in aumento e la guerra ibrida - che mescola misure militari, informatiche ed economiche - ha intensificato la cupa nube di insicurezza che incombe sul mondo”.
La Pacem in terris è ancora la base per riflettere
La conferenza “Pacem in Terris: la guerra a gli altri ostacoli alla pace”, vuole avviare “una riflessione etica sulle tecnologie belliche contemporanee, le restrizioni che dovrebbero essere poste su di esse, le proibizioni che sarebbero opportune e le salvaguardie che dovrebbero essere stabilite per garantire la protezione dell'umanità”. E la Pacem in terris fornisce una preziosa tabella di marcia per affrontare questi temi. Gli esperti convocati alla Casina Pio IV sono in grado di “affrontare i recenti sviluppi tecnologici nei conflitti armati e di fornire una valutazione etica della possibilità di raggiungere una pace stabile in questo contesto in rapida evoluzione”.
Sull'amore, non sulla paura, si basino le relazioni tra Stati
Nella sua relazione, suor Alford ha sottolineato che “L’amore e non la paura, deve dominare le relazioni tra individui e Stati. Nei casi di tensione è necessaria una “oggettiva investigazione sulla situazione e dialogo per risolvere le crisi”. Per questo la presidente della Pass si augura un vero sviluppo delle agenzie internazionali, perché “l’ordine internazionale non può essere basato sulla paura ma sulla mutua fiducia. Le risorse intellettuali del mondo non possono essere dirottate sullo sviluppo degli armamenti. Ecco come ne parla in questa intervista a Vatican News:
Qual è l'attualità della Pacem in Terris oggi, in una situazione che è simile a quella di 60 anni fa, visto che ci sono di mezzo sempre la paura delle armi nucleari vicino a casa, allora degli Stati Uniti e adesso della Russia?
Sì, diversi relatori qui oggi hanno sottolineato questa similitudine. Anche oggi sperimentiamo una sensazione generalizzata di incertezza e di paura. E quindi una parola come quella della Pacem in Terris è importante per dare una guida alle popolazioni. Si comincia dal chiedersi che tipo di persona siamo, che tipo di ente siamo come esseri umani. Che ci porta subito alla discussione dei diritti e dei doveri. Quelli che hanno steso la Dichiarazione universale dei diritti umani avrebbero voluto anche aggiungere, ma per motivi storici non hanno potuto, anche i doveri. Solamente dopo che abbiamo riconosciuto la natura dell'uomo e la natura della pianeta attorno a noi, poi possiamo andare a affrontare i discorsi sulla possibilità di controllare gli armamenti, come dovremmo regolarne l'uso e come potremmo piano piano arrivare al mondo dove non ci sia più la guerra. Perché avremmo una situazione istituzionale che riesce a gestire i problemi. L’aggressività l’avremmo sempre, perché fa parte della nostra esistenza come animali, ma può essere regolata come gli Stati regolano l'uso della violenza dei singoli attraverso sistema giuridico, il sistema penitenziario, potremmo immaginare che a livello internazionale potremmo avere anche un sistema di questo tipo, che già Papa Giovanni XXIII ipotizza nella Pacem in terris.
Oggi il problema è anche questo sviluppo tecnologico degli armamenti che è diventato difficilmente controllabile: l'intelligenza artificiale, la chimica…
Certo, sono temi che saranno oggetto del dibattito in questi due giorni di studio. Abbiamo esperti proprio a livello tecnologico, poi abbiamo esperti nell'applicazione dell'etica a questi armamenti e poi abbiamo esperti nel campo giuridico. L'idea è di parlare fra di noi e arrivare a posizioni in linea con l'insegnamento di Papa Francesco e della tradizione della Chiesa sul tema della pace, che possano aiutare i governi e le Nazioni Unite. Tutti colori che sono coinvolti nella promozione della pace e anche nel controllo dell'uso degli armamenti in generale e in particolare di questi nuovi armamenti che sono ancora da capire.
La voce del Papa si è fatta sentire sulla pace in encicliche come Fratelli tutti e Laudato sì. Il 4 ottobre sarà pubblicata una seconda parte della Laudato sì. Anche questa potrà essere come una Pacem in terris di Papa Francesco?
Assolutamente. Quello che ha fatto il Papa attraverso la Laudato sì è fondamentale per il discorso di oggi perché fa rientrare tutto il discorso nel nostro rapporto con pianeta che ovviamente è un'estensione del nostro rapporto fra di noi, per avere un rapporto pacifico in entrambi i casi. Vediamo con la “Laudato sì 2.0”, come possiamo portare in avanti questo discorso. In questo periodo sentiamo molte minacce contro la pace: abbiamo visto oggi che abbiamo più conflitti in questi anni come mai prima, dalla seconda guerra mondiale. Questi insegnamenti del Papa possono aiutarci a ridurre le tensioni e andare verso la pace che è quello che tutti noi vogliamo vedere.
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