Il Papa: l’ingratitudine genera violenza, un semplice “grazie” può riportare la pace
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Quando l’uomo “si illude di farsi da sé e dimentica la gratitudine”, dimentica “che il bene viene dalla grazia di Dio, dal suo dono gratuito”, pensa “di non aver bisogno né di amore, né di salvezza” ma di “avere qualcosa in più degli altri” di “emergere sugli altri”. Così nascono insoddisfazioni e invidie, che possono portare violenza, perché “l’ingratitudine genera violenza, mentre un semplice ‘grazie’ può riportare la pace!”. Chiediamoci se questa piccola parola, “grazie”, e anche "permesso" e "perdono", le basi della convivenza, “sono presenti nella nostra vita”. E’ la meditazione di Papa Francesco prima della preghiera dell’Angelus di questa XXVII domenica del tempo ordinario, nella quale commenta la parabola dei vignaioli omicidi nel Vangelo di Matteo.
Una parabola drammatica, con un epilogo triste. Perchè?
Il Papa ne parla come di una “parabola drammatica, con un epilogo triste”: il padrone di un terreno vi pianta una vigna e dovendo partire, la affida a dei contadini. Al momento della vendemmia, manda i suoi servi a ritirare il raccolto, ma i vignaioli “li maltrattano e li uccidono; allora il padrone manda suo figlio, e quelli uccidono perfino lui. Come mai? Che cosa è andato storto?” si chiede Francesco. “Il padrone fa tutto bene, con amore” sottolinea, da’ in affitto “il suo bene prezioso” e tratta gli agricoltori “in modo equo, perché la vigna sia ben coltivata e porti frutto”.
L' ingratitudine fa crescere l'avidità
Ma la vendemmia non si conclude felicemente, “in un clima di festa, con una giusta condivisione del raccolto per la soddisfazione di tutti”. Perché “nella mente dei contadini si sono insinuati pensieri ingrati e avidi", perchè "alla radice dei conflitti c’è sempre qualche ingratitudine e pensieri avidi, di possedere presto le cose". "Non abbiamo bisogno di dare nulla al padrone - dicono tra di loro i vignaioli - Il prodotto del nostro lavoro è solo nostro. Non dobbiamo rendere conto a nessuno!”. E questo, sottolinea il Pontefice, non è vero:
Dovrebbero essere riconoscenti per quanto hanno ricevuto e per come sono stati trattati. Invece l’ingratitudine alimenta l’avidità e cresce in loro un progressivo senso di ribellione, che li porta a vedere la realtà in modo distorto, a sentirsi in credito anziché in debito con il padrone che aveva dato loro da lavorare.
Non c'è più la gioia di sentirsi amati e salvati
Uccidono anche il figlio del padrone, dicendo “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Dibventano così assassini, un processo che "tante volte succede nel cuore della gente, persino nel nostro cuore". Con questa parabola, commenta Papa Francesco, “Gesù ci ricorda cosa succede quando l’uomo si illude di farsi da sé e dimentica la gratitudine, dimentica la realtà fondamentale della vita: che il bene viene dalla grazia di Dio, dal suo dono gratuito”.
Quando si scorda questo, si finisce col vivere la propria condizione e il proprio limite non più con la gioia di sentirsi amati e salvati, ma con la triste illusione di non aver bisogno né di amore, né di salvezza. Si smette di lasciarsi voler bene e ci si ritrova prigionieri della propria avidità, del bisogno di avere qualcosa in più degli altri, del voler emergere sugli altri.
Saper dire "grazie", "permesso" e "perdono"
Da qui, prosegue il Papa, “provengono tante insoddisfazioni e recriminazioni, tante incomprensioni e invidie; e, spinti dal rancore, si può precipitare nel vortice della violenza”. Perché è vero: “l’ingratitudine genera violenza, ci toglie la pace e ci fa sentire e parlare urlando, senza pace, mentre un semplice ‘grazie’ può riportare la pace!”. Guardando a noi, Francesco invita a chiederci:
Io mi rendo conto di aver ricevuto in dono la vita e la fede, e di essere io stesso, io stessa, un dono? Credo che tutto comincia dalla grazia del Signore? Comprendo di esserne beneficiario senza meriti, amato e salvato gratuitamente? E soprattutto, in risposta alla grazia, so dire “grazie”? E le tre parole che sono il segreto della convivenza umana: grazie, permesso, perdono. Io so dire queste tre parole?
“Grazie”, conclude il Pontefice “è una piccola parola, attesa ogni giorno da Dio e dai fratelli”. Domandiamoci se, con "permesso" e "perdono, scusa", “è presente nella nostra vita”. E ci aiuti Maria, “la cui anima magnifica il Signore, a fare della gratitudine la luce che sorge ogni giorno dal cuore”.
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