Francesco firma la prefazione al libro postumo del teologo Zizioulas
FRANCESCO
Avere tra le mani questo libro di Ioannis Zizioulas, Metropolita di Pergamo, è per me continuare a stringere le sue nell'amicizia che ci ha legati. Un libro postumo, che come evoca il titolo, mi arriva quale segno proveniente da un passato liberato nel Futuro di Dio.
Ho conosciuto loannis Zizioulas nel 2013 quando accolsi la Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, venuta a Roma per la Festa dei SS. Pietro e Paolo. Fu un incontro che mi confermò la convinzione di quanto dovessimo ancora imparare dai fratelli e dalle sorelle ortodossi riguardo la collegialità episcopale e la tradizione della sinodalità.
Nei nostri scambi, durante i successivi incontri, ritornava il pensiero di una teologia escatologica che da anni appuntava nella speranza di riuscire a farne un libro. Quando pregavamo e riflettevamo sull'unità dei cristiani comunicava il suo realismo: solo alla fine dei tempi si sarebbe realizzata. Ma nel frattempo avremmo dovuto fare tutto il possibile, spes contra spem, per continuare a cercarla insieme. Il fatto che si sarebbe realizzata solo alla fine non doveva alimentare rassegnazione o trovarci inoperosi: dovevamo credere che quel Futuro stava già operando, "causa di tutto l'essere". Un Futuro che viene alla storia e non viene dalla storia. Non semplicemente la fine del cammino, ma una compagnia della vita capace di "colorarla" con i colori della Risurrezione e della voce dello Spirito che ci avrebbe "ricordato le cose nuove". Avvertiva il pericolo che avere lo sguardo fisso al passato poteva renderci prigionieri soprattutto degli errori compiuti, dei tentativi falliti, accumulando zavorre pessimistiche, favorendo l'incunearsi delle diffidenze. Tutti patiamo la negatività dell'indietrismo, e ne soffre in particolar modo la sincera ricerca dell'unità di tutti i cristiani. Il valore delle nostre tradizioni è di aprire il cammino, e se invece lo chiudono, se ci trattengono, significa che stiamo sbagliando a interpretarle, prigionieri delle nostre paure, attaccati alle nostre sicurezze, col rischio di trasformare la fede in ideologia e di mummificare la verità che in Cristo è sempre vita e via (Gv 14, 6), sentiero di pace, pane di comunione, fonte di unità.
L'èschaton bussa alla nostra vita quotidiana, sollecita la nostra collaborazione, scioglie le catene, libera il passo della vita buona. Ed è nel cuore del canone eucaristico che per Zizioulas la chiesa "ricorda il futuro", componendo nei capitoli di questo libro una dossologia a "Colui che viene", una teologia che ha scritto in ginocchio, in attesa.
Voglio svegliare l'aurora (Salmo 108). Il versetto del Salmo chiama tutti gli strumenti e le voci dell'umanità a gridare il nostro bisogno del Futuro
di Dio. Svegliamo l'Aurora in noi, svegliamo la speranza. Infatti, «sostanza delle cose che si sperano» (Eb 11,1), il gesto costitutivo del cristianesimo è
dare un segno, tangibile e quotidiano, umile e disarmato, di «Colui che è, che era, che viene» (Ap 1, 8).
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