Il Papa ai consacrati: non viviamo di abitudini, Dio è novità e chiede cuori giovani
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Simeone, "uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele" e Anna, che "non si allontanava mai dal tempio", riconobbero nel Bambino, che Maria portava in braccio, il Messia a lungo atteso. Sono loro, Simone e Anna, i protagonisti del brano del Vangelo dell'odierna Festa della Presentazione del Signore, popolarmente nota come Candelora, in cui si celebra la XXVIII Giornata Mondiale della Vita Consacrata istituita da san Giovanni Paolo II nel 1997. Prendendo esempio da loro, al centro della riflessione di Papa Francesco alla Messa presieduta alle 17.30 nella Basilica vaticana, c'è un atteggiamento controcorrente al nostro tempo: l'attesa. "Sorelle, fratelli, coltiviamo nella preghiera l’attesa del Signore - afferma Francesco nell'omelia - e impariamo la buona 'passività dello Spirito': così saremo capaci di aprirci alla novità di Dio".
Le candele nel buio e l'accensione della luce
Nella basilica non illuminata, i fedeli, in maggioranza consacrate e consacrati appartenenti a diverse congregazioni, comunità e istituti religiosi, tengono in mano le candele accese come il Papa, che le benedice. Lungo la navata centrale i sacerdoti concelebranti avanzano in processione. Il cardinale João Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, asperge con l'incenso l'altare. Quindi la basilica si illumina. La luce è simbolo di Cristo, luce delle genti e salvezza per il mondo. La Giornata Mondiale della Vita Consacrata vuol essere un occasione di preghiera e di ringraziamento per questa particolare chiamata di Dio.
Perseverare nell'attesa
"Ci fa bene guardare a questi due anziani pazienti nell’attesa, vigilanti nello spirito e perseveranti nella preghiera", afferma Francesco dando inizio all'omelia: Simeone e Anna sono due anziani, ma hanno conservato il cuore giovane, nonostante fatiche e delusioni "non hanno mandato in pensione la speranza" e hanno mantenuto viva l'attesa del Signore.
Fratelli e sorelle, l’attesa di Dio è importante anche per noi, per il nostro cammino di fede. Ogni giorno il Signore ci visita, ci parla, si svela in modo inaspettato e, alla fine della vita e dei tempi, verrà. Perciò Egli stesso ci esorta a restare svegli, a vigilare, a perseverare nell’attesa.
Guai scivolare nel "sonno dello spirito", afferma il Papa, e "archiviare la speranza". E si domanda: siamo ancora capaci di vivere l'attesa o siamo troppo presi da noi stessi e dalle nostre attività? Non corriamo il rischio di "trasformare anche la vita religiosa e cristiana nelle tante cose da fare e tralasciando la ricerca quotidiana del Signore?". E ancora: quanto contano le possibilità di successo nella nostra programmazione della vita personale e comunitaria, invece che la dedizione "al piccolo seme che ci è affidato", sapendo aspettare i tempi di Dio?
La trascuratezza della vita interiore
La capacità di attendere, prosegue il Papa, è spesso ostacolata in particolare da due fattori: il primo è "la trascuratezza della vita interiore":
È quello che succede quando la stanchezza prevale sullo stupore, quando l’abitudine prende il posto dell’entusiasmo, quando perdiamo la perseveranza nel cammino spirituale, quando le esperienze negative, i conflitti o i frutti che sembrano tardare ci trasformano in persone amare e amareggiate.
Non è bello vedere una "faccia scura" in una comunità, osserva Francesco, ma la gioia e lo stupore degli inizi si alimentano "con l’adorazione, con il lavoro di ginocchia e di cuore".
L'adeguamento allo stile del mondo
Il secondo fattore è "l’adeguamento allo stile del mondo che finisce per prendere il posto del Vangelo". Il Papa parla della pretesa del "tutto e subito" che caratterizza le nostre società, dell'attivismo che ci domina, del consumismo e divertimento cercato a tutti i costi e del silenzio bandito nelle nostre giornate. E avverte:
Facciamo attenzione, allora, perché lo spirito del mondo non entri nelle nostre comunità religiose, non entri nella vita ecclesiale e nel cammino di ciascuno di noi, altrimenti non porteremo frutto. La vita cristiana e la missione apostolica hanno bisogno che l’attesa, maturata nella preghiera e nella fedeltà quotidiana, ci liberi dal mito dell’efficienza, dall’ossessione del rendimento e, soprattutto, dalla pretesa di rinchiudere Dio nelle nostre categorie, perché Egli viene sempre in modo imprevedibile.
La "buona passività dello Spirito"
Il Papa riporta una frase della mistica francese Simon Weil: "Desiderare Dio e rinunciare a tutto il resto: in ciò soltanto consiste la salvezza", invitando le consacrate e i consacrati a imparare "la buona passività dello Spirito" per essere aperti "alla novità di Dio". Così il passato si apre al futuro, ciò che è vecchio in noi diventa capace di accogliere il nuovo. E' un passaggio non facile, riconosce il Papa, ma necessario e, citando un brano scritto dal cardinale Carlo Maria Martini, conclude:
Non è facile infatti che il vecchio che è in noi accolga il bambino, il nuovo […]. Accogliere il nuovo: nella nostra vecchiaia, accogliere il nuovo. La novità di Dio si presenta come un bambino e noi, con tutte le nostre abitudini, paure, timori, invidie – pensiamo alle invidie, eh? –, preoccupazioni, siamo di fronte a questo bambino. Lo abbracceremo, lo accoglieremo, gli faremo spazio?".
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