Il Papa agli afghani: non si fomenti l'odio nel nome di Dio, riconoscere i diritti di tutti
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Anzitutto c’è il dolore per il “tempo tragico” che l’Afghanistan ha vissuto negli ultimi decenni, tra guerre e conflitti sanguinosi, instabilità, operazioni belliche, distruzione, morte, divisioni interne, discriminazione, migrazioni. Quindi la “compassione” e l’auspicio di una “collaborazione nel rispetto reciproco” per dar luogo a “una civiltà più giusta e umana”, in cui vengano riconosciuti i “diritti di tutti”, senza prevaricazioni o discriminazioni, e in cui il nome di Dio non venga mai e poi mai usato per “terrorizzare la gente" o fomentare odio e violenza. Con questi sentimenti e auspici Papa Francesco accoglie questa mattina, 7 agosto, prima dell’udienza generale in Aula Paolo VI, una delegazione dell’Associazione Comunità Afgana in Italia, organismo che riunisce uomini e donne provenienti dal tormentato Paese e residenti in territorio italiano, per fare rete e promuoverne l’integrazione.
La via dell'esilio
Già in passato il Papa aveva ricevuto in Vaticano famiglie di profughi dell’Afghanistan; lo ricorda lui stesso all’inizio del suo discorso, andando alle radici dell'“esilio” di massa di migliaia di afghani, richiamando quindi la “storia complicata e drammatica, caratterizzata da un susseguirsi di guerre e di conflitti sanguinosi” che hanno segnato l’Afghanistan negli ultimi decenni e che “hanno reso assai difficile per la popolazione condurre un’esistenza tranquilla, libera e sicura”.
L’instabilità, le operazioni belliche, con il loro carico di distruzione e di morte, le divisioni interne e gli impedimenti a vedersi riconosciuti alcuni diritti fondamentali, hanno spinto molti a prendere la via dell’esilio
Discriminazioni ed esclusioni
Addentrandosi nei gangli della società afghana e richiamando anche quella del vicino Pakistan, Francesco sottolinea come il tessuto sociale di entrambi i Paesi sia costituito “da molti popoli, ciascuno fiero della sua cultura, delle sue tradizioni, del suo specifico modo di vivere”. “Questa marcata differenziazione, invece di essere occasione per promuovere un minimo comune denominatore a tutela delle specificità e dei diritti di ciascuno, a volte è motivo di discriminazioni ed esclusioni, se non addirittura di vere e proprie persecuzioni”, osserva il Papa.
Il diritto della forza al posto della forza del diritto
Tutto questo trova una rilevanza ancora maggiore nell’area di confine con il Pakistan, dove “l’intreccio delle etnie” e “l’estrema ‘porosità’ dei confini” determinano una situazione non facile da decifrare e nella quale, evidenzia Papa Francesco, “è molto arduo rendere effettiva una normativa che sia concretamente recepita e applicata da tutti”.
In simili contesti possono innescarsi processi nei quali la parte che è o si sente più forte tende ad andare oltre gli stessi dettami della legge o a prevaricare sulle minoranze, facendosi scudo del preteso diritto della forza piuttosto che contare sulla forza del diritto
Strumentalizzazione della religione
Se il fattore religioso, per sua natura, dovrebbe contribuire a “stemperare le asprezze dei contrasti” e creare “lo spazio perché a tutti vengano riconosciuti pieni diritti di cittadinanza su un piano di parità e senza discriminazioni”, nella realtà, invece, la religione stessa “subisce manipolazioni e strumentalizzazioni” e finisce “per servire a disegni che non sono compatibili con essa”. “In questi casi la religione diventa fattore di scontro e di odio, che può sfociare in atti violenti”, denuncia il Papa. E a braccio aggiunge: “Voi lo avete visto, alcune volte. Io ricordo, quel momento più duro, aver visto filmati nelle notizie: con quanta durezza, con quanto dolore…”.
Promuovere l'armonia
La necessità, urgente, è che “in tutti maturi la convinzione che non si può, in nome di Dio, fomentare il disprezzo dell’altro, l’odio e la violenza”. In tal senso, Francesco incoraggia a proseguire nel “nobile intento” di promuovere l’armonia religiosa e operare “affinché vengano superate le incomprensioni tra le diverse religioni per costruire così un percorso di dialogo fiducioso e di pace”.
È un cammino non semplice, che a volte subisce delle battute d’arresto, ma è l’unico cammino possibile, da perseguire con tenacia e costanza, se davvero si desidera fare il bene della comunità e favorire la pace
Il ricordo del viaggio in Centrafrica
Ancora distaccandosi dal testo scritto, il Papa ricorda il suo viaggio del 2015 nella Repubblica Centrafricana e la visita alla comunità islamica, con una preghiera anche nella moschea. “Lì c’era un incontro con i dirigenti, e la moschea era un po’ avanti. E io dissi: ‘Ma posso andare a pregare?’. Non se lo aspettavano. ‘Sì’: ho tolto le scarpe e sono andato a pregare lì. E poi il capo della comunità è salito sulla mia papamobile e siamo andati a visitare tutte le comunità, sia la islamica, sia la protestante, sia la cattolica. E questo unisce, questo unisce tanto”.
L'appello del Documento di Abu Dhabi
E ancora attingendo al suo pontificato e a quello che ne è stato uno dei suoi capisaldi, cioè la firma con il Grande Iman di Al-Azhar del Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune, ad Abu Dhabi nel 2019, Papa Francesco torna a rilanciare l’appello contro ogni strumentalizzazione o interpretazione deviata e deviante delle religioni.
Le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portarli a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione
Bisogna “cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione”, rimarca il Papa. Dio, dice, ripetendo uno dei passaggi fondamentali del Documento di Abu Dhabi, “non vuole che il Suo nome venga usato per terrorizzare la gente”.
Adottare la cultura del dialogo come via
Lo stesso vale per le differenze etnico-linguistico-culturali, afferma il Pontefice: bisogna “adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio”. Augurio del Papa è che questi criteri possano diventare “patrimonio comune, tale da influenzare mentalità e comportamenti, così che i principi siano non soltanto astrattamente apprezzati e condivisi, ma concretamente e puntualmente applicati”.
Se ciò accadrà, anche le discriminazioni che la vostra Associazione lamenta ai danni dell’etnia Pashtun in Pakistan avranno termine e potrà iniziare una nuova epoca, nella quale la forza del diritto, la compassione – questa parola è chiave: la compassione – e la collaborazione nel rispetto reciproco daranno luogo a una civiltà più giusta e umana
L’esempio sono alcuni Paesi dell’Africa, dove “a Natale gli islamici vanno a salutare i cristiani e portano agnelli e queste cose, e per la Festa del Sacrificio i cristiani vanno dai musulmani e portano loro cose per la festa”. “Questa è la vera fraternità, e questo è bello. Lottate per questo”, incoraggia Jorge Mario Bergoglio.
Piena uguaglianza, senza discriminazioni
Da qui la preghiera a Dio perché assista “i governanti e i popoli nella costruzione di una società dove a tutti sia riconosciuta piena cittadinanza nell’uguaglianza dei diritti; dove ognuno possa vivere secondo i propri costumi e la propria cultura, in un quadro che tenga conto dei diritti di tutti, senza prevaricazioni o discriminazioni”.
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