Belgio, il Papa: Chiesa non è gestione del passato, ma novità nel Vangelo
Lorena Leonardi - Città del Vaticano
Una Chiesa “che non chiude mai le porte”, che a tutti offre “un’apertura sull’infinito”, che sa “guardare oltre”. Una Chiesa “serva di tutti senza soggiogare nessuno”, in grado di imparare, con la misericordia, a non rimanere “col cuore di pietra” dinnanzi alle sofferenze delle vittime di abusi. Ancora, una Chiesa capace di aiutare chi sbaglia a rialzarsi, perché esistono errori ma “nessuno è perduto per sempre”.
È questa la Chiesa che Papa Francesco ha indicato come modello parlando stamani, 28 settembre, ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati e alle consacrate, ai seminaristi e agli operatori pastorali del Belgio riuniti nella basilica del Sacro Cuore di Koekelberg, a Bruxelles.
Il Pontefice ha raggiunto l’edificio sacro alla periferia della città dopo una tappa fuori programma nella chiesa di Saint-Gille per fare colazione con un gruppo di poveri e rifugiati che gli hanno regalato una birra prodotta nella parrocchia per finanziare le opere caritative. Nel suo percorso in auto lungo il grande spazio verde antistante alla basilica, la quinta più grande al mondo, Francesco benedice diversi bambini che gli vengono avvicinati.
Uno squarcio sul cielo
Rivolgendosi ai presenti, per descrivere al meglio l’immagine di una Chiesa “che evangelizza, vive la gioia del Vangelo e pratica la misericordia”, Francesco si avvale di una metafora artistica, facendo riferimento a un’opera del pittore belga Magritte, “L’atto di fede”, che rappresenta una porta chiusa dall’interno, ma “sfondata al centro” e “aperta sul cielo. È uno squarcio - descrive - che ci invita ad andare oltre, a volgere lo sguardo in avanti e in alto, a non chiuderci mai in noi stessi”.
Parlando della Chiesa belga, il Papa la definisce “in movimento”, impegnata a trasformare la presenza delle parrocchie sul territorio, a dare un forte impulso alla formazione dei laici e in generale a “essere Comunità vicina alla gente, che accompagna le persone e testimonia con gesti di misericordia”.
Nel suo discorso più volte interrotto da applausi, che prendeva spunto dalle domande poste nel corso delle testimonianze da diversi membri della Chiesa locale, Francesco propone alcune tracce di riflessione sviluppate attorno a tre parole: evangelizzazione, gioia, misericordia.
Ritornare al Vangelo
L’evangelizzazione, spiega, è la “prima strada da percorrere”, perché “i cambiamenti della nostra epoca e la crisi della fede che sperimentiamo in Occidente ci hanno spinto a ritornare all’essenziale, cioè al Vangelo” affinché “a tutti venga nuovamente annunciata la buona notizia che Gesù ha portato nel mondo, facendone risplendere tutta la bellezza”. La crisi, tempo “per scuoterci, per interrogarci e per cambiare”, ci mostra che “siamo passati da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo ‘di minoranza’, o meglio - precisa Francesco - di testimonianza”.
Questo richiede il coraggio di una conversione ecclesiale, per avviare queste trasformazioni pastorali che riguardano anche le consuetudini, i modelli, i linguaggi della fede, perché siano realmente a servizio dell’evangelizzazione.
Anche ai preti, sottolinea, occorre il “coraggio” di non limitarsi a “conservare o gestire un patrimonio del passato”, ma di essere “pastori innamorati di Cristo” e “attenti a cogliere le domande di Vangelo” mentre “camminano con il Popolo santo di Dio”. Se il Signore “apre i nostri cuori all’incontro con chi è diverso da noi”, il Papa chiarisce che “nella Chiesa c’è spazio per tutti” e “nessuno dev’essere la fotocopia dell’altro. L’unità nella Chiesa non è uniformità, ma è trovare l’armonia delle diversità!”.
In questo senso il processo sinodale, rimarca riferendosi a una precedente testimonianza, “dev’essere un ritorno al Vangelo”, non deve “avere tra le priorità qualche riforma ‘alla moda”’, ma chiedersi come possiamo far arrivare il Vangelo “in una società che non lo ascolta più o si è allontanata dalla fede”.
La gioia è la strada
Passando al secondo fulcro del suo intervento, la gioia, Francesco esplicita che non si parla “delle gioie legate a qualcosa di momentaneo”, ma di “una gioia più grande, che accompagna e sostiene la vita anche nei momenti oscuri o dolorosi, e questo è un dono che viene dall’alto, che viene da Dio”.
È la gioia del cuore suscitata dal Vangelo: è sapere che lungo il cammino non siamo soli e che anche nelle situazioni di povertà, di peccato, di afflizione, Dio è vicino, si prende cura di noi e non permetterà alla morte di avere l’ultima parola.
Dal Papa arriva l’esortazione affinché il predicare, il celebrare, il servire e fare apostolato lascino trasparire “la gioia del cuore” e non “il sorriso finto, del momento”. La gioia “è la strada”, e quando la fedeltà “appare difficile” dobbiamo mostrare che essa è un “cammino verso la felicità” perché, “intravedendo dove conduce la strada, si è più pronti a iniziare il cammino”.
La guarigione del cuore
Infine, la terza via, quella della misericordia.
Il Vangelo, accolto e condiviso, ricevuto e donato, ci conduce alla gioia perché ci fa scoprire che Dio è il Padre della misericordia, che si commuove per noi, che ci rialza dalle nostre cadute, che non ritira mai il suo amore per noi. Fissiamo nel cuore: mai Dio ritira il suo amore per noi.
Questo, ha proseguito il Pontefice, “a volte può sembrarci ‘ingiusto’, perché noi applichiamo semplicemente la giustizia terrena che dice: ‘chi sbaglia deve pagare’”. Tuttavia, la giustizia di Dio è superiore, e chi ha sbagliato è sì “chiamato a riparare i suoi errori”, ma per guarire nel cuore “ha bisogno dell’amore misericordioso di Dio”, che “perdona tutto” e “perdona sempre”. È con la sua misericordia che Dio “ci giustifica” nel senso che “ci rende giusti, perché ci dona “un cuore nuovo, una vita nuova”.
Il Papa si sofferma anche sulla questione degli abusi: “C’è bisogno di tanta misericordia, per non rimanere col cuore di pietra dinanzi alla sofferenza delle vittime, per far sentire loro la nostra vicinanza", "offrire tutto l’aiuto possibile” e imparare a essere una Chiesa “che si fa serva di tutti” senza “soggiogare nessuno”. “Sì – ripete – perché una radice della violenza consiste nell’abuso di potere, quando usiamo i ruoli che abbiamo per schiacciare gli altri o per manipolarli”.
Il pensiero di Francesco va poi ai carcerati, per i quali la misericordia è un tema cruciale.
Quando io entro in un carcere mi domando: perché loro e non io? Gesù ci mostra che Dio non si tiene a distanza dalle nostre ferite e impurità. Egli sa che tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato. Nessuno è perduto per sempre.
Se “è giusto seguire tutti i percorsi della giustizia terrena e i percorsi umani, psicologici e penali”, la pena per il Papa “dev’essere una medicina”, portare alla guarigione, perché, ribadisce con forza, “bisogna aiutare le persone a rialzarsi, a ritrovare la loro strada nella vita e nella società. Soltanto una volta nella vita di tutti ci è permesso guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a rialzarsi. Solo così. Ricordiamoci: tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato, nessuno è perduto per sempre. Misericordia – conclude – sempre, sempre misericordia”.
Al di là di ogni frontiera
Della chiamata della Chiesa a essere “un segno di comunione e di integrazione” in un Paese “crocevia dell’Europa e del mondo” ha parlato, nel suo saluto al Papa, monsignor Luc Terlinden, arcivescovo di Mechelen-Brussel e presidente della Conferenza episcopale belga.
Il presule mette in evidenza le sfide e le opportunità che “l’accoglienza degli stranieri e la mescolanza delle popolazioni” rappresentano “per la Chiesa, per la pastorale, per la teologia” in un mondo che “sta cambiando profondamente e sta diventando più secolare”.
In particolare il presidente dell’episcopato belga si sofferma sull’importanza di “testimoniare la tenerezza di Dio per ogni essere umano, al di là di ogni frontiera" e di "riconoscere in ognuno una sorella o un fratello”.
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