La rifugiata palestinese nella video-testimonianza all'università di Lovanio La rifugiata palestinese nella video-testimonianza all'università di Lovanio

La guerra che impone di crescere in fretta

La testimonianza di due rifugiati palestinesi nel video "I morti non sognano" proiettato alla presenza del Papa nel corso dell'incontro con i docenti dell'università di Lovanio. Sentirsi grati per una vita che continua, sebbene fuori dalla propria terra, ma con il rischio di essere marginalizzati. Il dramma degli abusi sulle donne che si incrocia con quello di tutte le guerre. E il sogno di un pasto consumato nuovamente in famiglia, attorno al tavolo di casa

Antonella Palermo - Città del Vaticano

La guerra che spezza famiglie, che costringe a diventare adulti prima del tempo, che viola i corpi, fa sentire tutto il macigno della precarietà. È quella di due giovani rifugiati palestinesi che si raccontano in un video dal titolo "I morti non sognano" proiettato dopo l'intervento introduttivo del Rettore dell'università di Lovanio e prima del discorso di Papa Francesco ai docenti. "Il rifugiato bussa alla nostra porta. Il suono persistente del suo bussare è crudo e penetrante. Gli apriamo la porta?". Così ha chiosato la guida dell'ateneo e su questo solco si inseriscono, con una ripresa e un montaggio che li ritrae lentamente nei gesti quotidiani della loro vita in Belgio, dove il brodo di una minestra scolata nel lavabo è rosso come il sangue della carneficina bellica. 

La guerra sul corpo delle donne 

Tutti in Palestina hanno un lutto di familiari o amici a motivo della guerra. La sorella del ragazzo, dieci anni, è diventata esperta nel riconoscere se un razzo proviene da un aereo o da un carro armato. 

“Non hai la possibilità di goderti l'infanzia. Ti tocca crescere in fretta.”

"A tutti gli effetti, siamo imprigionati", spiega. E ricorda di quanto gli pesa la negazione di viaggiare, di ammirare le bellezza di questa terra. La madre di lei, sebbene poco più che un'adolescente, comprendeva il valore dell'istruzione, del leggere libri. È nata anche così la passione per lo studio. La formazione in medicina è stata un shock: troppe le donne con i danni di violenze sessuali. Donne che non sanno di essere bersaglio di oppressione. "La guerra è fatta sui corpi delle donne". È un'ammissione tragica che, osserva, le viene condivisa anche da altre persone di diversa provenienza (Congo, Somalia, Eritrea, Afghanistan...). Storie simili espressione di un medesimo dramma. 

L'odore della morte

"Sai, io amo gli animali, ma sentivo che valevamo meno degli animali". Così prosegue il racconto della giovane al ricordo dei corpi annientati in decomposizione per le strade.

“Nel cuore della notte, abbiamo sentito sparare, dopo di che, non avrei mai pensato in tutta la mia vita di vedere così tanta distruzione. Il mattino presto, abbiamo camminato per dieci ore. C'erano cadaveri ovunque. Si sentiva l'odore, si vedeva.”

E lui che esprime la spaccatura di una identità senza più un baricentro, continuamante oscillante tra due mondi: l'Europa - posto sicuro - e la Palestina - le origini.

Il sogno di mangiare alla stessa tavola di famiglia

Sentirsi in frammenti: questo procura la guerra. Lo denuncia senza infingimenti la donna che, malgrado la protezione in Belgio, non riesce a riscattarsi ancora da una condizione di inevitabile marginalizzazione: "perché sei rifugiata". Il legame familiare resta la cosa più importante e vivere lontano, in salvo, crea sensi di colpa. Si arriva a pensare che è meglio rischiare di morire con i propri cari, che rimanere vivi a metà.

“La famiglia non è più unita. Spero che i miei cari saranno presto al mio tavolo, di nuovo tutti insieme”

Alla fine l'intonazione di una nenia, rotta da lacrime trattenute, le stesse probabilmente ingoiate al momento del saluto con Francesco, alla fine dell'incontro. Lei, viva, che stringe la mano del Papa insieme ad altri rifugiati del centro sanitario Paso; lei, con un abito tradizionale di lino bianco, nel candore di una vita che spera nella luce.

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27 settembre 2024, 18:10