Il Papa: liberate Aung San Suu Kyi. Pronti ad accoglierla in Vaticano
Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
“Ho chiesto la liberazione della signora Aung San Suu Kyi e ho ricevuto il figlio a Roma. Ho offerto il Vaticano per accoglierla nel nostro territorio”. Un appello per la destituita leader birmana, promotrice dei diritti umani e Nobel per la pace, in prigione dal 2021 dopo il colpo di Stato militare, e in generale per il Myanmar con le sue ferite, da sempre al centro dei suoi pensieri e delle sue preghiere, sono tra i temi affrontati da Papa Francesco nelle conversazioni con i gesuiti incontrati in Indonesia, Timor-Leste e Singapore. Il Papa ha ricevuto privatamente i confratelli in tre diversi appuntamenti, nell’ambito del lungo pellegrinaggio del 2-13 settembre nel Sud-Est asiatico e in Oceania. Come ‘tradizione’ di ogni viaggio apostolico, La Civiltà Cattolica, storica rivista della Compagnia di Gesù, pubblica oggi, 24 settembre, ampi stralci delle conversazioni del Pontefice in un articolo a firma di padre Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione e tra i membri del seguito papale.
Numerosi temi
Numerosi i temi affrontati da Jorge Mario Bergoglio con i gesuiti dei territori visitati e anche di regioni limitrofe, originari degli stessi Paesi o in missione da decenni in quei luoghi. Spazio nei colloqui a confessioni personali, a suggerimenti e indicazioni per il servizio pastorale e per la missione, specie quella in Asia, all’attualità. Come, appunto, il dramma che vive da circa tre anni il Myanmar dove la situazione “è difficile”, come dice il Papa ad un confratello birmano che gli domanda: “Abbiamo perso vita, famiglia, sogni e futuro… come fare a non perdere la speranza?”.
Il pensiero per i Rohingya e per Aung San Suu Kyi
Il pensiero del Papa va subito ai Rohingya, la minoranza musulmana discriminata e vittima spesso di persecuzioni: “Mi stanno a cuore”, dice Francesco. Ricorda il suo viaggio in Myanmar e Bangladesh, nel dicembre 2017, e il colloquio con Aung San Suu Kyi, allora primo ministro al momento in carcere, e l’incontro con i Rohingya “cacciati via”. Quindi dice al giovane gesuita: “Non c’è una risposta universale alla tua domanda. Ci sono giovani bravi che lottano per la patria. In Myanmar oggi non si può stare in silenzio: bisogna fare qualcosa!”. “Il futuro del tuo Paese deve essere la pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di tutti, sul rispetto di un ordine democratico che consenta a ciascuno di dare il suo contributo al bene comune”, afferma Francesco. Quindi ribadisce la richiesta di liberazione di Aung San Suu Kyi ricordando l’udienza con il figlio a Roma: “Ho offerto il Vaticano per accoglierla nel nostro territorio. In questo momento la signora è un simbolo. E i simboli politici sono da difendere. Ti ricordi quella suora in ginocchio con le mani alzate davanti ai militari? Ha fatto il giro del mondo. Prego per voi giovani, perché siate coraggiosi così. La Chiesa del vostro Paese è coraggiosa”.
L'ideale di giustizia
Di coraggio il Papa parla pure in riferimento alle mamme argentine di Plaza de Mayo, che da decenni lottano e protestano per ottenere giustizia e verità sui figli e nipoti scomparsi durante la Dittatura militare, e che ha ispirato il Kamisan in Indonesia, un movimento pacifico che ogni giovedì organizza manifestazioni e proteste non-violente per chiedere chiarimenti sulla violenza massiccia che scosse Giacarta durante la “tragedia nazionale” di Semanggi del 1998, quando dozzine di donne furono prese di mira da folle inferocite con una violenza diffusa su persone e proprietà. Uno dei gesuiti presenti al colloquio a Jakarta accompagna le famiglie delle vittime delle passate violazioni dei diritti umani e al Papa consegna una lettera scritta dalla signora Maria Katarina Sumarsih, madre di una delle vittime della tragedia di Semanggi, spiegando: “Lei è una delle iniziatrici del Kamisan, ispirata alle Madri di Plaza de Mayo in Argentina. Questo gruppo chiede al governo di rivelare le passate violazioni dei diritti umani e di fornire giustizia alle vittime e alle loro famiglie. Quale consiglio può darci?”. Il Papa ricorda l’incontro con la presidente delle madri di Plaza de Majo, Hebe de Bonafini, morta nel 2022. “Mi ha commosso e mi ha aiutato molto parlare con lei. Mi ha trasmesso la passione di dar voce a chi non ce l’ha. Questo il nostro compito: dar voce a chi non ce l’ha. Ricordatelo – insiste il Papa -: questo è il nostro compito. La situazione sotto la dittatura argentina è stata molto difficile, e queste donne, queste mamme, lottavano per la giustizia”. Quindi esorta: “Conservate sempre l’ideale di giustizia!”.
La piaga del clericalismo
Oltre alle problematiche sociali e politiche, Francesco, rispondendo sempre alle domande dei suoi ospiti, si sofferma pure su questioni ecclesiali. A cominciare da quella - sempre stigmatizzata come una “piaga” - del clericalismo. In risposta a un gesuita di Dili, a Timor-Leste, Francesco ribadisce che il clericalismo “è ovunque”. “Per esempio, in Vaticano c’è una forte cultura clericale, che si sta lentamente cercando di cambiare”, afferma. “Il clericalismo è uno dei mezzi più sottili che il diavolo usa”. Come sempre il Papa cita De Lubac e il suo libro Meditazioni sulla Chiesa, in cui parla della “mondanità spirituale”, affermando che “la cosa peggiore che possa capitare alla Chiesa, persino peggiore del tempo dei Papi concubini”. “Il clericalismo – rimarca il Pontefice - è la massima mondanità all’interno del clero. Una cultura clericale è una cultura mondana".
Il riposo con la preghiera
Numerosi, poi, i consigli del Papa per la missione dei religiosi in Asia con un ricordo verso grandi figure della Compagnia di Gesù quali padre Pedro Arrupe e Matteo Ricci. In particolare Papa Francesco insiste sempre ad accompagnare il proprio servizio con la preghiera, una necessità fondamentale. Anche per lui, il Papa, che al gesuita che gli domanda come faccia a pregare nel mezzo delle sue giornate così piene di impegni, risponde: “Ne ho bisogno, sai? Ne ho proprio bisogno. Mi alzo presto, perché sono vecchio. Dopo il riposo, che mi fa bene, mi alzo verso le 4, poi alle 5 comincio la preghiera: dico il breviario e parlo al Signore. Se la preghiera è un po’, diciamo così, ‘noiosa’, allora dico il Rosario. Poi vado al Palazzo per le udienze. Poi pranzo e mi riposo un po’. A volte davanti al Signore faccio una preghiera silenziosa. Prego, celebro l’Eucaristia, certo. La sera – aggiunge il Pontefice - faccio ancora un po’ di preghiera. È molto importante per la preghiera fare la lettura spirituale: dobbiamo far crescere la nostra spiritualità con buone letture. Prego così, semplicemente… È semplice, sai? Alcune volte mi addormento nella preghiera. E questo, quando capita, non è un problema: per me è un segnale che sto bene con il Signore! Mi riposo pregando. Non lasciare mai la preghiera!”.
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