Il cardinale Goh: Francesco a Singapore, un ambasciatore di misericordia
di Claudia Torres e Isabella Piro
“I messaggi-chiave del Papa riguardano sempre la costruzione dell’armonia nel mondo, l’essere inclusivi e il fare della Chiesa un sacramento della misericordia e della compassione di Gesù verso gli altri”. Il cardinale William Seng Chye Goh, arcivescovo di Singapore, ha offerto questa sintesi del viaggio apostolico di tre giorni compiuto Papa Francesco nella città-Stato asiatica. A colloquio con i media vaticani, il porporato ha sottolineato che la visita del Pontefice nella “città del leone” - svoltasi dall’11 al 13 settembre e ultima tappa del 45° viaggio apostolico internazionale che ha portato Francesco, dal 2 settembre in poi, anche in Indonesia, Papua Nuova Guinea e Timor-Leste – “è stata di grande ispirazione, non solo per i cittadini di Singapore”, ma anche per “la necessità di raggiungere l’intera umanità” con la Buona Novella. A Singapore e in tutto il mondo, spiega infatti l’arcivescovo, “risuonano costantemente i messaggi del Santo Padre” in cui si ribadisce l’attenzione a “gli emarginati, i poveri, i sofferenti, i vulnerabili, il rispetto per le altre religioni, la dignità della vita, la protezione della famiglia e dei giovani, il rispetto per i giovani e l’incoraggiamento dei giovani ad essere avventurosi, senza dimenticare gli anziani”.
Pastore per tutti, ha ravvivato la fede
“Pastore per tutti, indipendentemente dalle dimensioni delle Nazioni, indipendentemente dalle persone”, continua il cardinale Goh, il Pontefice con la sua visita a Singapore ha “sicuramente ravvivato la fede del nostro popolo e ha portato molti dei nostri cattolici a lavorare insieme”, il che ha rappresentato “un’occasione molto rara”. L’auspicio è che “a lungo termine tutto questo ci aiuterà a costruire un’unica Chiesa” anche attraverso il processo sinodale, in modo da “poter davvero camminare insieme, lavorare insieme e rendere la Chiesa di Singapore una Chiesa vibrante, evangelizzatrice e missionaria”.
L’importanza del dialogo interreligioso e del rispetto reciproco
Il porporato sottolinea, inoltre, come la visita del Santo Padre in Asia sia stata “molto importante anche per i non cattolici, per far capire al mondo la bellezza della fede cattolica” e di una Chiesa “davvero accogliente e rispettosa degli altri, una Chiesa che cerca soprattutto di difendere coloro che sono oppressi e di proteggere la società per il bene comune di tutti”. La Chiesa cattolica, mette in luce l’arcivescovo di Singapore, “è veramente un’ambasciatrice della misericordia e dell’amore di Cristo”. Di qui, il richiamo all’importanza del dialogo interreligioso, “del rispetto reciproco e del tentativo di ascoltarsi a vicenda, perché tutti noi vogliamo promuovere il bene comune della società. Vogliamo la pace, vogliamo l’armonia e vogliamo che le persone lavorino insieme e si prendano cura l’una dell’altra”.
Il contributo dell’Asia alla Chiesa universale
Quanto al contributo che la Chiesa in Asia può portare alla Chiesa universale, il cardinale Goh ritiene che l’Occidente dovrebbe “imparare di più” dal continente asiatico - così come da quello africano - “dove ci sono così tante culture diverse e anche diverse forme di governo, e diversi valori culturali”. “Per noi - aggiunge - l’incontro con Dio non è qualcosa di riducibile a un’esperienza celebrativa. Incontrare Dio è incontrare Dio con il cuore. Vi faccio l’esempio della visita del Santo Padre qui a Singapore: sono sicuro che non tutti hanno ascoltato i lunghi discorsi e i profondi insegnamenti teologici, non tutti hanno letto le sue encicliche, ma sanno che quest’uomo è un uomo di Dio. Quindi, per queste persone vedere il Papa è davvero vedere Gesù”. “Quello che voglio dire - continua il porporato - è che l’Asia ha molto da offrire come contributo alla Chiesa universale. E per aiutare le persone in Occidente, penso che dobbiamo trovare un equilibrio nella conoscenza “cerebrale” di Dio, una conoscenza teologica dovuta a un grande studio. Però di Gesù ci si innamora. E ci si innamora con il cuore, non con la testa. E l’amore ci aiuterà a essere uniti insieme”. “Ecco perché gli apostoli, pur essendo così diversi tra loro, diversi per temperamento, diversi per condizione, amano tutti Gesù - spiega ancora il cardinale Goh -. Tutti hanno incontrato il Suo amore e quindi sono in grado di unirsi insieme”.
La dimensione devozionale
In Asia, prosegue ancora l’arcivescovo di Singapore, sono molto importanti anche le religioni popolari: “La pietà popolare deve essere guidata dalla Chiesa”, spiega, ma è un elemento da “non disprezzare perché è lo strumento con cui le persone hanno incontrato Gesù. Non tutti sono molto istruiti e non tutti amano leggere: la gente vuole vedere, vuole sentire, vuole toccare. Ecco perché quando anche le persone hanno toccato il Santo Padre o il Santo Padre le ha toccate, ho potuto vedere le lacrime e la gioia. Era come se Gesù le toccasse”. “Forse mi sbaglio - afferma il porporato -, ma secondo la mia umile valutazione, l’Europa ha perso questa dimensione devozionale” che invece va recuperata “per aiutare le persone a incontrare Dio più profondamente”.
L'inculturazione della liturgia
Un ulteriore contributo che la Chiesa asiatica può offrire a quella universale, continua l’arcivescovo, riguarda la celebrazione liturgica, perché “è importante che certe dimensioni della liturgia siano rispettate, ma nella liturgia stiamo celebrando la vita, stiamo celebrando l’esperienza di Dio. Quindi, penso che la Chiesa debba essere più aperta anche all’inculturazione della liturgia, in quanto questo è il modo in cui le persone vogliono esprimere il loro amore per Dio”. “In Asia vogliamo partecipare, cantare, ballare, sollevare le braccia verso l’alto, esprimerci. Non vogliamo solo sederci e ascoltare”, bensì “partecipare con tutta la nostra mente, il nostro cuore, il nostro corpo, per amare il Signore con tutta la nostra mente, con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra forza”.
L’attenzione ai bambini e ai malati
Infine, ripercorrendo con la memoria i due intesi giorni di Papa Francesco a Singapore, l’arcivescovo ne ricorda soprattutto il suo essere “davvero come un padre”, il suo modo di mostrare “il suo amore paterno a coloro che erano malati, ai bambini: fermava il suo veicolo solo per benedire i più piccoli e i sofferenti. Vedevo le lacrime, la gioia incontenibile di queste persone che avevano il grande privilegio di essere benedette da lui. Ho visto queste emozioni ovunque, in particolare il 12 settembre allo stadio nazionale per la santa messa. Quando sono entrato, ho potuto vedere la gioia e l’amore che le persone avevano per il Papa, e come egli abbia davvero toccato e commosso i loro cuori”. “Anche io ho pianto con loro, ho trattenuto a stento le lacrime – conclude -, perché ho potuto vedere queste persone così felici e così grate di avere il Santo Padre tra loro. In lui hanno visto veramente Gesù”.
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