Dieci anni fa la beatificazione di Paolo VI, servo della Verità
di Giselda Adornato
Dieci anni fa, il 19 ottobre 2014, si è celebrata la beatificazione di Giovanni Battista Montini-Paolo VI, che è stata seguita, il 14 ottobre 2018, dalla canonizzazione: il percorso di santità dell’uomo, sacerdote, educatore, vescovo e Pontefice è stato riconosciuto dalla Chiesa. Finalmente, dopo decenni di letture inadeguate, è stata posta al centro la spiritualità del protagonista, ricca e affascinante, che unisce il desiderio e la contemplazione del mistero di Dio con la sollecitudine verso l’umanità e il dialogo della fede con il tempo presente.
In un appunto di Paolo VI sulla santità leggiamo che essa «non va commisurata su la grandezza eroica, drammatica dei personaggi celebri»; è invece «un continuo duplice atto di umiltà e di fiducia per disporre l’anima a compiere, come ricevuti in dono, gli altri atti di fede, di speranza, di amore e quelli dell’azione buona e forte esteriore».
La concezione montiniana di santità è sulla scia del Concilio, perché proposta a tutti e contraddistinta da semplicità: un’armonia fra la serenità e la pace dello spirito, la preghiera e la sollecitudine per il prossimo. È una forma di missione, nella quale Montini coinvolge innanzitutto i giovani, ai quali dedica il primo documento ufficiale della Chiesa sulla gioia cristiana, l’esortazione apostolica Gaudete in Domino, che è stata seguita da Evangelii gaudium di Papa Francesco.
Paolo VI professa una fede «piena, libera, certa, forte, gioiosa, operosa, umile» come lui stesso la invoca per tutti i credenti nella preghiera al termine dell’Anno della fede 1967-1968, e ne struttura le linee portanti nel Credo del popolo di Dio; ma sperimenta anche la fatica di essere spesso condotto, nella sua straordinaria esperienza, ben oltre quanto ritiene adeguato alle proprie forze spirituali e morali, e vive momenti di prova e di sgomento. Conosce la solitudine, a volte eroica, delle decisioni più difficili; ma ha sempre in mente i cammini, accidentati o consolanti, dei fedeli, che invita ad una fede semplice, piena e forte: viva.
La contemperazione di sensibilità amorevole verso le fatiche dei credenti e di servizio e difesa della fede matura nella meditazione della paternità di Dio, nella sequela della persona di Cristo, nell’ardore interiore e anche nella contemplazione mistica suggeriti dallo Spirito Santo.
E dunque la Trinità, «mistero infinito», davanti al quale il Papa è «come abbagliato dal sole», ma che gli dà «un’impressione di beatitudine oceanica, alla cui meditazione dovrò poi sempre ritornare».
Questa la forza di Paolo VI, per cui può dire: «Non la nostra mano debole e inesperta è al timone della barca di Pietro, sì bene quella invisibile, ma forte ed amorosa, del Signore Gesù». E così appare la grande protagonista: la Chiesa, quella del Concilio, «da amare, da servire, da sopportare, da edificare, con tutto il talento, con tutta la dedizione, con inesauribile pazienza ed umiltà, ecco ciò che resta sempre da fare, cominciando, ricominciando, finché tutto sia consumato, tutto ottenuto (sarà mai?), finché Egli ritorni, in omni fiducia, sicut semper».
E quando ogni gratificazione venisse a mancare, ecco la riflessione montiniana, citata da Papa Francesco nell’omelia della beatificazione: «Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io vi abbia qualche attitudine, o perché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva».
Poi, colui che è stato definito «il Papa dell’umiltà» riflette molto sulla distanza assoluta tra l’uomo e Dio, risolvibile nella «suprema sintesi di S. Agostino: miseria et misericordia. Miseria mia, misericordia di Dio». E tanti ricordano gesti come il bacio dei piedi del metropolita Melitone, piuttosto che le semplicissime esequie di Montini, mai viste prima nella storia della Chiesa.
Le esperienze di sofferenza, che si moltiplicano dalla fine degli anni ‘60, non fanno che rafforzare questi suoi propositi: «Non nascondere sotto la professione e la coscienza dell’umiltà, la viltà, la paura, il disimpegno, la debolezza, lo scetticismo, la fuga del rischio e del sacrificio, l’ipocrisia della vera umiltà, disposta a fallire davanti agli uomini e anche davanti alla coscienza personale».
Per cui anche il mistero della Croce — che sembra essere l’unica condizione vissuta da Papa Montini sulla quale tutti, detrattori e ammiratori, concordano — ha una forte potenzialità pragmatica, lontana dai ripiegamenti, lanciata verso obiettivi di salvezza, forza, speranza. Princípi di grande attualità rispetto al prossimo Giubileo del 2025, la cui bolla di indizione cita san Paolo VI.
La natura della perfezione spirituale consiste poi nella perfezione di carità: l’«Amatevi come io vi ho amato» dice a Milano, è un’«equazione tremenda e stupenda», e bisognerebbe citare tantissimi gesti, fin dalla fanciullezza, compiuti in grande riserbo e conosciuti dalle testimonianze altrui. Vi è poi l’aspetto della carità nella Verità, un servizio agli uomini che Montini vive con passione, da servo della Verità.
Dunque, quella di Montini è una vita interiore che alimenta un comportamento riservato e composto e che è frutto di un costante senso della presenza rasserenante di Dio; egli la esprime continuamente nella preghiera personale e liturgica e da essa attinge la forza di parlare e di agire senza timore, anche in momenti drammatici, considerati come provvidenziali, per il bene della Chiesa e dell’uomo. Così il suo successore Francesco, durante l’omelia della beatificazione: «Nei confronti di questo grande Papa, di questo coraggioso cristiano, di questo instancabile apostolo, davanti a Dio oggi non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera ed importante: grazie! Grazie nostro caro e amato Papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla Sua Chiesa!».
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