Il Papa: abbiate cura degli altri, non temete di rinnovare i linguaggi della fede
Tiziana Campisi - Città del Vaticano
Abbiate cura di voi e prendetevi cura degli altri: è il duplice invito che Francesco lascia a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrate e ai seminaristi della Corsica incontrati nella cattedrale di Santa Maria Assunta di Ajaccio. A loro va il suo ringraziamento per l’impegno quotidiano e perché “segno dell’amore misericordioso di Dio e testimoni del Vangelo” - come il sacerdote salutato poco prima, 95 anni d'età e 70 di sacerdozio - e poi l'incoraggiamento ad annunciare Cristo, a raggiungere ogni persona, chi necessità di conforto, chi è lontano da Dio, chi ha bisogno di essere accompagnato nel proprio cammino di vita. Perché bisogna avere a cuore il bene dell’altro e per tutto questo occorre essere pronti a rinnovare schemi vetusti o a sperimentare nuove vie pastorali. Tutti siano perdonati; "non torturare la gente nei confessionali", "perdonare sempre, perdonare tutto", ripete più volte il Papa.
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L'accoglienza nella cattedrale di Ajaccio
Il Pontefice arriva nella chiesa cinquecentesca che sorge nella città vecchia dopo un momento di raccoglimento a Place Foch, davanti alla statua della Vergine della Misericordia. "A Madunnuccia”, come la chiamano qui, è la protettrice di Ajaccio da quando nel 1656 liberò la Corsica dalla peste, e davanti alla nicchia a lei dedicata Francesco accende un cero.
A fare da sfondo al percorso papale, tra le vie della capitale corsa, il mare calmo e azzurro, il cielo dello stesso colore e un caldo sole. E mentre i cantanti Patrick Fiori, Alizée, Francine Massiani, Christophe Mondoloni, e Jean Charles Papi nel piazzale antistante la cattedrale intonano un brano, il Papa riceve in dono dei fiori da due bambini e viene accolto all’ingresso principale dal vescovo di Ajaccio, il cardinale François-Xavier Bustillo, dal presidente della Conferenza episcopale francese, monsignor Éric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims e dal parroco che gli porge la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione. Poi il Pontefice attraversa la navata centrale, soffermandosi, di tanto in tanto, con alcune religiose, quindi raggiunge l’altare. Le note di un alleluja cantato da un gruppo di piccole voci riempiono le navate della chiesa e coinvolgono tutti all'unisono. Al termine del canto Francesco saluta i cantori uno per uno, chiedendo a ciascuno il nome e intrattenendosi con alcuni di loro. Poi prende la parola monsignor de Moulins-Beaufort che nel suo saluto al Papa evidenzia la necessità di sacerdoti in tutta la Francia, dove le diocesi si stanno trasformando per vivere con meno presbiteri ma c’è “bisogno della vicinanza di Gesù, della sua compassione, della sua tenerezza”.
Dio agisce con il poco che gli offriamo
Nel suo discorso il Pontefice riconosce che nell’attuale contesto europeo “non mancano problemi e sfide che riguardano la trasmissione della fede” che portano il clero a scoprirsi piccolo e fragile.
Non siete molto numerosi, non avete mezzi potenti, non sempre gli ambienti in cui operate si mostrano favorevoli ad accogliere l’annuncio del Vangelo.
Ma questa povertà sacerdotale per il Papa "è una benedizione" perché "spoglia della pretesa di farcela da soli", "insegna a considerare la missione cristiana come qualcosa che non dipende dalle forze umane, ma soprattutto dall’opera del Signore, che sempre lavora e agisce con il poco che possiamo offrirgli".
Il pericolo della mondanità e vanità
Al centro c’è il Signore: questo è ciò che non bisogna dimenticare, aggiunge Francesco, che esorta ciascuno a ripetere, tutte le mattine, a sé stesso “nella preghiera: anche oggi, nel mio servizio, non io al centro, ma Dio”.
E dico questo perché c’è un pericolo nella mondanità, un pericolo che è la vanità. Fare il pavone. Guardare troppo sé stesso. È la vanità. E la vanità è un brutto vizio, cattivo odore. Fare il pavone.
C'è da riconoscere "il primato della grazia divina" ma pure le proprie responsabilità, pensandosi “come ‘collaboratori della grazia di Dio’” e domandandosi quotidianamente in che modo si sta vivendo il proprio sacerdozio, la propria consacrazione, il proprio discepolato.
Avere cura di sé
È necessario “guardarsi dentro”, rimarca il Papa, perché non accada “di essere ‘macinati’ nei ritmi e nelle attività esterne e succede di perdere la consistenza interiore”. Da qui il primo consiglio del Pontefice.
Avere cura di voi. Perché la vita sacerdotale o religiosa non è un “sì” che abbiamo pronunciato una volta per tutte. Non si vive di rendita con il Signore! Al contrario, ogni giorno va rinnovata la gioia dell’incontro con Lui, in ogni momento bisogna nuovamente ascoltare la sua voce e decidersi a seguirlo, anche nei momenti delle cadute.
In pratica “più un sacerdote, una religiosa, un religioso si donano, si spendono, lavorano per il Regno di Dio, e più diventa necessario che si prendano cura anche di sé stessi”, spiega Francesco, che mette in guardia: “un prete, una suora, un diacono che si trascura finirà anche per trascurare coloro che gli sono affidati”. Per tale motivo occorre “l’appuntamento quotidiano con la preghiera e l’Eucaristia, il dialogo con il Signore”, e questo “secondo la spiritualità propria e il proprio stile.” E poi bisogna “conservare qualche momento di solitudine”, condividere con qualcuno “liberamente” quello che c’è nel proprio cuore, coltivare qualcosa che appassiona per riposarsi “in modo sano dalle stanchezze del ministero”. L’iperattività, essere “sempre al centro” e per troppo zelo non concedersi mai riposo, non prendersi “mai una pausa per sé stessi, non va bene”, avverte il Papa, che ribadisce: ogni sacerdote e ogni persona consacrata si prenda cura di sé.
E non per fare un lifting per apparire più belli, no: per parlare con l’amico, con il Signore e soprattutto con la Mamma. Non lasciate la Madonna, per favore. Per parlare della propria vita, come stanno andando le cose. E sempre avete per questo, sia il confessore, sia qualche amico che vi conosca bene e possiate parlare e fare un bel discernimento. I “funghi presbiteriali” non vanno bene, non vanno bene.
E serve pure la fraternità, la condivisione delle fatiche e delle sfide, della gioia e dell’amicizia. Spesso, invece, ci si lamenta, si criticano gli altri, c'è invidia.
Il posto che deve prendere la gioia lo prende l’aceto. È una cosa brutta trovare un prete con il cuore amareggiato. È brutto. “Ma perché sei così?” – “Eh, perché il vescovo non mi vuole bene.” - “Perché hanno nominato vescovo a quell’altro e non a me” – “E perché? Perché?”… Le lamentele. Per favore, fermatevi davanti alle lamentele, alle invidie. L’invidia è un vizio giallo, è giallo. Chiediamo al Signore di mutare il nostro lamento in danza. Il senso dell’umorismo, la semplicità evangelica.
Avere cura degli altri
Quanto all’avere cura degli altri vuol dire “portare Gesù agli altri, donare ai cuori la consolazione del Vangelo”. Francesco chiede di avere dedizione “di chi attende la Parola di Gesù, di chi si è allontanato da Lui, di coloro che hanno bisogno di orientamento o di consolazione”. Il Papa rammenta un giovane prete morto recentemente di cancro che abitava in una baraccopoli, al fianco di gente povera che bussava continuamente alla sua porta:
Il prete con il cuore aperto a tutti, senza fare distinzioni. L’ascolto, la vicinanza della gente, è anche questo, un invito a trovare, nel contesto di oggi, le vie pastorali più efficaci per l’evangelizzazione.
Non avere paura di cambiare
E ancora il Pontefice incoraggia a “prendersi cura di tutti, nella formazione e soprattutto nell’incontro. Incontrare le persone, là dove vivono e lavorano, in ogni circostanza”, e per questo suggerisce di cimentarsi in nuovi modi per raggiungere l’altro.
Non abbiate paura di cambiare, di rivedere i vecchi schemi, di rinnovare i linguaggi della fede.
Perdonare sempre, perdonare tutto
Un'ulteriore richiesta di Francesco a vescovi e sacerdoti è di "prendersi cura di tutti, nella formazione e soprattutto nell’incontro. Incontrare le persone, là dove vivono e lavorano" e "in ogni circostanza".
E poi, una cosa che ho tanto a cuore: per favore, perdonate sempre. E perdonate tutto. Perdonate tutto e sempre. Ai sacerdoti dico, nel sacramento della riconciliazione, di non fare troppe domande. Ascoltare e perdonare.
"Perdonare sempre. Perdonare tutto", incalza il Papa, che confida di non avere mai negato una assoluzione nei suoi 55 anni di sacerdozio.
Mi piace confessare, tanto. Ho sempre cercato il modo di perdonare.
E a religiose e religiosi, poi, un altro invito: "perdonare, dimenticare", "le lotte ambiziose di comunità… Perdonare".
Andare avanti con coraggio
Infine, l’ultimo incoraggiamento di Francesco per i pastori, i sacerdoti, i consacrati e i diaconi è quello di confidare sempre in Dio, soprattutto nelle difficoltà.
Nei momenti di stanchezza e di scoraggiamento, non lasciatevi andare. Riportate il cuore al Signore. Non dimenticatevi di piangere davanti al Signore. Egli si manifesta e si fa trovare se avrete cura di voi stessi e degli altri. In questo modo Lui offre la consolazione a coloro che ha chiamato e inviato. Andate avanti con coraggio, vi ricolmerà di gioia.
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