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La Statio Orbis di Papa Francesco del 27 marzo 2020 La Statio Orbis di Papa Francesco del 27 marzo 2020  Editoriale

Quella piazza vuota e il pastore in sintonia col mondo

A cinque anni dalla Statio Orbis per la preghiera in tempo di pandemia

Andrea Tornielli

Sono passati cinque anni da quando Papa Francesco, solitario, saliva verso il sagrato della basilica di San Pietro. Pioveva quella sera. La piazza era drammaticamente vuota, anche se milioni di persone in tutto il mondo erano sintonizzate con lui, incollate ai loro teleschermi, ancora rinchiuse nella lunga quarantena del lockdown, impaurite di fronte al virus invisibile che mieteva tante vittime portandosele via nei reparti di terapia intensiva degli ospedali, senza che i parenti potessero vederle, salutarle e neanche celebrarne le esequie.

Con quel gesto, con quella preghiera, e con la messa quotidiana dalla cappella di Santa Marta, il Successore di Pietro si era reso vicino a tutti. Aveva compreso tutti nell’abbraccio della piazza vuota, nella benedizione con il Santissimo, nel semplice gesto di baciare i piedi del crocifisso che sembrava lacrimare perché esposto alle intemperie di un’inclemente serata d’inizio primavera. «Ero in contatto con la gente. Non sono stato solo in nessun momento...», avrebbe raccontato qualche tempo dopo il Papa. Solo, ma non da solo. In preghiera per un mondo smarrito. Un’immagine potente, indimenticabile, che ha segnato il pontificato.

In quella occasione Francesco disse rivolgendosi a Dio: «Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri». Nei mesi seguenti avrebbe ripetuto che «da una crisi mai si esce come prima, mai. Usciamo migliori o usciamo peggiori».

Cinque anni dopo, guardandosi intorno, è impossibile affermare che ne siamo usciti migliori, con un mondo squassato dalle violenze dei signori della guerra, che pensa al riarmo invece di combattere la fame.

Non siamo più in quarantena, e ora la situazione si è rovesciata: la piazza si riempie delle persone che celebrano il Giubileo, a non esserci adesso è il Vescovo di Roma, che prega per noi e per la pace dalla sua stanza a Santa Marta, in convalescenza dopo una grave polmonite. Ma quella sintonia non si è spezzata. E le sue parole di allora sono più attuali che mai: anche oggi, soprattutto oggi, è «il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa».

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