Cerca

Discorso al simposio sul sacerdozio, 17 febbraio 2022

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Le “quattro vicinanze”, vicinanza a Dio, al vescovo, tra i presbiteri e al popolo sono per il Papa le colonne per una vita sacerdotale nello stile di Cristo, presentate nel lungo intervento di apertura, in Aula Paolo VI, del Simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”, promosso dalla Congregazione dei Vescovi.

Questa logica delle vicinanze – in questo caso con il vescovo, ma vale anche per le altre – consente di rompere ogni tentazione di chiusura, di autogiustificazione e di fare una vita “da scapolo”.

“Niente teoria qui, parlo di quello che ho vissuto” così Francesco inizia un articolato discorso di quasi un’ora per aiutare in modo pratico, concreto e speranzoso i presbiteri di oggi, condividendo gli atteggiamenti che danno solidità alla loro persona. Coltivare nella preghiera la vicinanza a Dio, nell’obbedienza ascoltata quella al vescovo, nella fraternità non invidiosa quella tra sacerdoti e nella condivisione di gioie e dolori quella al popolo.

Ai vescovi e ai sacerdoti farà bene domandarsi “come vanno le mie vicinanze”, come sto vivendo queste quattro dimensioni che configurano il mio essere sacerdotale in modo trasversale e mi permettono di gestire le tensioni e gli squilibri con cui ogni giorno abbiamo a che fare. Queste quattro vicinanze sono una buona scuola per “giocare in campo aperto”, dove il sacerdote è chiamato, senza paure, senza rigidità, senza ridurre o impoverire la missione.

Per questo, Papa Francesco approfondisce le quattro “vicinanze”, che definisce “fondamenta solide” per la vita di un sacerdote oggi, partendo dalla vicinanza a Dio, “vicinanza al Signore delle vicinanze”. Senza “una relazione significativa con il Signore – ribadisce - il nostro ministero è destinato a diventare sterile”.

La vicinanza con Gesù, il contatto con la sua Parola, ci permette di confrontare la nostra vita con la sua e imparare a non scandalizzarci di niente di quanto ci accade, a difenderci dagli “scandali”.

E il legame-vicinanza col vescovo, come le altre tre “vicinanze”, consente di rompere ogni tentazione di chiusura in se stessi e aiuta ogni presbitero e ogni Chiesa particolare “a discernere la volontà di Dio”.

Ma non dobbiamo dimenticare che il vescovo stesso può essere strumento di questo discernimento solo se anch’egli si mette in ascolto della realtà dei suoi presbiteri e del popolo santo di Dio che gli è affidato.

La terza vicinanza, quella tra i presbiteri, per il Pontefice si esprime nella fraternità, che è “scegliere deliberatamente di cercare di essere santi con gli altri e non in solitudine”.

L’amore fraterno, se non vogliamo edulcorarlo, accomodarlo, sminuirlo, è la “grande profezia” che in questa società dello scarto siamo chiamati a vivere. Mi piace pensare all’amore fraterno come a una palestra dello spirito, dove giorno per giorno ci confrontiamo con noi stessi e abbiamo il termometro della nostra vita spirituale.

La quarta vicinanza, “la relazione con il Popolo Santo di Dio”, sottolinea il Papa, “è per ciascuno di noi non un dovere ma una grazia”, che favorisce “l’incontro in pienezza con Dio”

Questa vicinanza, come le altre, invita, anzi “esige”, di “portare avanti lo stile del Signore”, fatto “di compassione e di tenerezza, perché capace di camminare non come un giudice ma come il Buon Samaritano”. Come colui che “riconosce le ferite del suo popolo”, i sacrifici “di tanti padri e madri per mandare avanti le loro famiglie, e anche le conseguenze della violenza, della corruzione e dell’indifferenza”.

È decisivo ricordare che il Popolo di Dio spera di trovare pastori con lo stile di Gesù – e non “chierici di stato” o “professionisti del sacro” –; pastori che sappiano di compassione, di opportunità; uomini coraggiosi, capaci di fermarsi davanti a chi è ferito e di tendere la mano; uomini contemplativi che, nella vicinanza al loro popolo, possano annunciare sulle piaghe del mondo la forza operante della Risurrezione.

17 febbraio 2022