Incontro con i vescovi, i sacerdoti, le consacrate e i consacrati a Giuba
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Nel suo discorso, Papa Francesco riprende l’immagine delle acque del fiume Nilo che attraversa il Sud Sudan e descrive la figura di Mosè: “Mosè col bastone in mano, con le mani protese, con le mani alzate”. E' un richiamo, quello di Francesco, alla responsabilità per sacerdoti e consacrati di corrispondere alla chiamata di Dio ad essere "strumenti di salvezza" per il popolo, non distogliendo lo sguardo dalle sue sofferenze e facendosi presenza profetica. "Davanti al Buon Pastore - afferma il Papa - comprendiamo che non siamo capi tribù, ma Pastori compassionevoli e misericordiosi; non padroni del popolo, ma servi che si chinano a lavare i piedi dei fratelli e delle sorelle; non un’organizzazione mondana che amministra beni terreni, ma la comunità dei figli di Dio".
L’appello del Papa alla Chiesa del Sud Sudan è a non tacere davanti al dolore e alle ingiustizie per timore “di perdere privilegi e convenienze”. Essere profeti, accompagnatori, intercessori, può richiedere la vita stessa, dice ancora il Papa, e tanti sacerdoti, religiose e religiosi sono rimasti vittime di attentati in cui hanno perso la vita. E commenta: "In realtà, l’esistenza l’hanno offerta per la causa del Vangelo e la loro vicinanza ai fratelli e alle sorelle è una testimonianza meravigliosa che ci lasciano e che ci invita a portare avanti il loro cammino".