Ep. 4 - Pasqua di Risurrezione
Domenica di Resurrezione - Meditazione di don Filippo Morlacchi, sacerdote della Diocesi di Roma, fidei donum a Gerusalemme
“È risorto! Sì, è veramente risorto!” Il Kêrygma cristiano, l’annuncio pasquale è tutto qui, in questa semplice affermazione. Cronaca di una risurrezione annunciata, potremmo dire. Ne avevano parlato i profeti; lo aveva detto Gesù, parlando della sua morte e della sua glorificazione. Ma non c’è niente da fare, è sempre difficile credere alla risurrezione. Da un lato, infatti, ci piace illuderci e pensare che andrà sempre tutto bene, come nelle favole. Poi ci pensa la vita a ridimensionare le nostre illusioni. E allora, proprio per non soffrire, tendiamo a diffidare delle speranze eccessive, e preferiamo non credere in nulla per non restarci poi male. Insomma fatichiamo, fatichiamo a credere alla novità della Pasqua.
La domenica di Pasqua è il giorno della rivincita di Dio sulle nostre speranze frustrate. Il momento in cui il Signore ci sorprende. L’alba del nuovo giorno in cui la novità imprevedibile ci raggiunge e ci sopraffà.
Questa fede è un dono. E senza questo dono, non potremmo credere e sperare, in questo tempo di dolore. La fede è una grazia, annunciata dalla rivelazione. Nel Nuovo Testamento si intrecciano due metafore complementari per descrivere l’evento della risurrezione. La prima si basa sullo schema del tempo, in base a un “prima” e un “poi”: «Gesù era morto, ma poi è risorto». La morte non ha potuto inghiottire l’Autore della vita. Dunque Gesù si “risveglia” dal “sonno” della morte nel quale prima era caduto. La seconda immagine si basa invece sullo schema dello spazio, in base ad un “basso” e un “alto”. “Gesù è disceso agli inferi, è sprofondato negli abissi della morte; ma è risorto ed è stato innalzato alla destra del Padre”. Per questo si dice di Gesù che è “ri-sorto”, cioè si è “rialzato” dalla morte e dagli inferi.
La nostra fede ha bisogno di tutti e due questi linguaggi per descrivere il mistero indescrivibile della risurrezione. Da un lato, ci dice che dobbiamo attendere ancora nel tempo un intervento di Dio. Sì, vediamo già i germi della risurrezione nella nostra storia, ma attendiamo ancora una novità più grande. Vediamo la presenza di Dio nelle vicende umane, nei gesti di amore e di riconciliazione che ci sorprendono e ci spiazzano per la loro gratuità e la loro generosità. Ma ancora attendiamo la pienezza della redenzione: la pace non è arrivata, il dialogo tra i popoli rimane difficile, c’è ancora tanta “carne” che attende di essere trasfigurata e di diventare “spirito”.
Tuttavia la risurrezione non è semplicemente un ritorno all’indietro nel tempo, una nuova occasione che ci viene offerta nel cammino della vita, nonostante i nostri fallimenti. La risurrezione è un dono di novità che viene dall’alto, e che non possiamo produrre con i nostri sforzi. È un dono di grazia. Per chi, come me, vive a Gerusalemme, questa Pasqua rimane segnata dalla strage del 7 ottobre e dalla carneficina di Gaza tutt’ora in corso. Cosa può dirci la fede cristiana, in questo tempo violento e impazzito? A me, personalmente, suggerisce di essere realista: ma del realismo evangelico, che include l’opera della grazia di Dio. Le lancette dell’orologio della storia non tornano indietro. Non ci saranno date nuove vite per ripercorrere gli stessi tratti di strada. Quel che è stato non può esser cancellato, da una parte e dall’altra. Israele esiste, e non può – né deve – essere eliminato. E anche un popolo palestinese esiste, e ha tutto il diritto di esistere con dignità, entro confini definiti. Non si può far finta che la mostruosa strage del 7 ottobre non sia accaduta: è un fatto che ha cambiato la storia. E la devastazione di Gaza, con le sue decine di migliaia di vittime, è un altro fatto incontestabile e gravido di conseguenze. Il futuro, quindi, non potrà essere un “dopo” che non tenga conto del “prima”: non si torna indietro nel tempo. Un futuro migliore può essere aperto solo da un nuovo che si trova su un altro livello, su qualcosa di “più alto”, e che “viene dall’alto”. Qualcosa che è impossibile agli uomini, ma non a Dio. Questa, per me, è la grazia della Pasqua: sapere che l’intervento di Dio può liberarci dalla coazione a ripetere, può dischiudere nuovi orizzonti, può far germogliare l’insperato, può risollevarci all’altezza della nostra dignità di figli di Dio. La fede pasquale ci dice che, se il Padre è intervenuto nella risurrezione del Figlio, può ancora intervenire nelle nostre storie personali e collettive. E liberare ciascuno di noi, e la nostra umanità, dalle pastoie degli errori passati. Fare di noi dei risorti, risollevàti su un nuovo livello di umanità trasfigurata. Non solamente un “dopo”, quindi, ma anche un “più in alto”. Nelle nostre piccole pasque di ogni giorno, e nel cammino verso un’umanità più conforme al progetto del Creatore.
Al mattino della domenica di Pasqua, avrò ancora una volta il privilegio di celebrare la messa nella tomba vuota. Proprio lì, dove la risurrezione di Gesù si è misteriosamente compiuta. Un pensiero sarà anche per voi che mi ascoltate. «È risorto, non è qui» (Mc 16,6), dice l’angelo alle donne recatesi al sepolcro. Sì, adesso Gesù non è nel sepolcro. Dio non abita nella morte, egli è il Dio della Vita. Gesù è vivo, ed è presente in ogni tabernacolo e nei nostri cuori, e anche in ogni gesto di carità, in ogni testimonianza di fede, in ogni germoglio di speranza, nonostante questo tempo cattivo. La luce del Risorto illumina le tenebre del male, e nulla potrà più spegnerla. Sursum corda, fratelli e sorelle, “in alto i nostri cuori, rendiamo grazie al Signore nostro Dio”… E buona Pasqua a tutti da Gerusalemme, “ombelico del mondo” e “madre di tutte le Chiese”!