Ep. 1 - Giovedì Santo
Giovedì Santo - Meditazione di don Filippo Morlacchi, sacerdote della Diocesi di Roma, fidei donum a Gerusalemme
La parola più importante della preghiera liturgica è “oggi”. La storia della salvezza viene rinnovata nel presente, e i credenti attingono alla grazia di quei divini misteri come se si compissero oggi.
Qui in Terrasanta, dove vivo, alla storia della salvezza si aggiunge anche una “geografia della salvezza”. Nei santuari cristiani quando celebriamo la messa aggiungiamo hic a hodie. All’oggi si aggiunge il qui. Ad esempio, celebrando il Natale a Betlemme ricordiamo che Gesù nasce per noi non solo oggi, ma proprio qui. È tradizione dunque celebrare le feste liturgiche con particolare solennità e fervore proprio nei luoghi dove quegli eventi si sono compiuti.
Oggi, giovedì santo, tutti noi cristiani di Gerusalemme ci raduniamo in due luoghi: il cenacolo, sulla collina di Sion, e il giardino del Getsemani nella valle del torrente Cedron. Certo, quest’anno non saremo in tanti. O meglio: noi, residenti a Gerusalemme, ci saremo, e saremo tutti. Ma non ci saranno i pellegrini, che dal 7 ottobre scorso non si vedono più in questa Terra: ed è una grande perdita. Perché la Chiesa di Terrasanta ha due polmoni: le comunità locali, e i pellegrini. E forse ci saranno anche meno cristiani che vivono nei territori palestinesi, per i quali è sempre più difficile arrivare a Gerusalemme, a causa dei controlli militari e delle restrizioni dovute alla sicurezza. Anche la grande processione della domenica della Palme, che – come facevano già in epoca bizantina – parte dalla chiesa di Betfage e poi discende lungo il monte degli Ulivi, attraversando la valle del Cedron, per entrare in Gerusalemme e ripetere così l’itinerario compiuto da Gesù nel suo ingresso messianico, quest’anno quella grande processione non aveva le folle a cui eravamo abituati… Ma c’eravamo, insieme a qualche gruppetto di coraggiosi pellegrini. E così, non mancheremo gli appuntamenti del giovedì santo.
La messa in coena Domini ci conduce dunque nel Cenacolo, la sala «al piano superiore» dove Gesù ha celebrato l’ultima cena e ha lavato i piedi ai discepoli. È questo l’ultimo momento in cui Gesù è padrone della sua vita, prima di essere consegnato nelle mani dei malfattori. Potrebbe ancora sfuggire al tradimento, alla condanna e alla morte di croce; ma sceglie di non farlo. Al contrario, decide di donare la sua vita fino in fondo, in un gesto d’amore definitivo e totale. «Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine», dice il Vangelo di Giovanni (13,1). E quel “fino alla fine” significa non solamente “fino all’ultimo momento”, cioè quando la fedeltà costa; significa anche “fino alla perfezione”, fino alla pienezza dell’amore. Il significato del gesto eucaristico – cioè lo spezzare il pane e il versare il vino – è questo: la mia vita è offerta, è donata, senza riserve e senza pentimento. “Sì – dice Gesù – come il pane viene spezzato e offerto in cibo, come il vino viene versato e offerto come bevanda, così voglio che la mia vita sia donata, senza riserve e senza rimpianti. Amici miei, anche voi fate come me: fate questo, in memoria di me”. E poi, affinché il senso di questo dono di sé rimanga qualcosa di concreto e quotidiano, Gesù si mette a lavare i piedi ai discepoli: perché donarsi, alla fin fine, significa amare e servire con umiltà. Le grandi virtù si sostanziano di piccoli gesti quotidiani. Impariamo a donare la vita spendendola quotidianamente nel servizio e nella carità. Soprattutto in questo tempo di guerra e di odio: i piccoli gesti d’amore sono preziosi, perché alimentano la speranza e consolano il cuore.
Dopo la cena, Gesù va al Getsemani. Gli Apostoli ora sono undici: Giuda si è già allontanato per tradirlo. Anche noi accompagniamo Gesù, e in serata tutta la comunità cristiana di Gerusalemme si raduna nel giardino degli Ulivi, per una veglia di preghiera. È il luogo dove Gesù ha vissuto la sfida più tragica, nell’agonia della preghiera. L’ora della tentazione più terribile, della solitudine assoluta. Gesù ha un’ultima opportunità di fuggire, ed è colto dal dubbio. “Non avrò esagerato, nel dichiararmi disposto ad andare fino alla morte di croce?”. È il dubbio che coglie ciascuno di noi quando le esigenze dell’amore che abbiamo promesso iniziano a costarci. Gesù supera la tentazione grazie alla preghiera, che si riassume in una parola sola: “Abbà – Padre”. “Sì tu sei Padre, e io mi fido di te senza condizioni”. La sera del giovedì santo tutti siamo chiamati a vegliare con Gesù nel Getsemani, per imparare da Lui, e con Lui, a dire: «Padre, sia fatta la tua volontà, santifica il tuo Nome, venga il tuo Regno…». Ripetiamo queste parole pensando a tutti coloro che in questo tempo di guerra soffrono ben più di noi. A tutti coloro che spontaneamente pregano, insieme a Gesù, con le parole del Salmo: «ho cercato consolatori, ma non ne ho trovati…» (Sal 69,21). E invochiamo: «Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi… donaci la pace».