Ep. 35 - Papale papale - "Proprietà"
Francesco, udienza generale 7 novembre 2018
«Non rubare». Ascoltando questo comandamento pensiamo al tema del furto e al rispetto della proprietà altrui. Non esiste cultura in cui furto e prevaricazione dei beni siano leciti; la sensibilità umana, infatti, è molto suscettibile sulla difesa del possesso. Ma vale la pena di aprirci a una lettura più ampia di questa Parola, focalizzando il tema della proprietà dei beni alla luce della sapienza cristiana.
Nella dottrina sociale della Chiesa si parla di destinazione universale dei beni. Che cosa significa? Ascoltiamo che cosa dice il Catechismo: «All’inizio, Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell’umanità, affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i frutti. I beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano» (n. 2402). E ancora: «La destinazione universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo esercizio».
Paolo VI, celebrazione dell’anniversario della Rerum Novarum 22 maggio 1966
La Chiesa non ha temuto di scendere dalla sfera religiosa sua propria a quella delle condizioni concrete della vita sociale. Come il Samaritano della parabola evangelica, la Chiesa scese dalla sua cavalcatura, cioè dall’ambito puramente cultuale, e si fece ministra di carità, non pur individuale, ma sociale. Si è curvata sul campo economico; ha parlato dei rapporti fra capitale e lavoro, si è pronunciata sul contratto di lavoro, sul salario, sull’assistenza, sul diritto familiare, sulla proprietà privata, sul risparmio, su cento questioni pratiche essenzialmente collegate con le oneste e legittime necessità della vita. La sua carità si è armata di esigenze progressive, che chiamò umane e cristiane, e perciò giuste. Vagliò aspirazioni e interessi delle classi meno abbienti, e non esitò a cavarne, con sapienza e con prudenza, ma altresì con coraggio antiveggente, nuovi diritti da soddisfare; ispirò ed ispira tuttora una legislazione contraria al privilegio e all’egoismo, e protettiva dei deboli, degli umili, dei diseredati.
Giovanni Paolo I, udienza generale 27 settembre 1978
Tutti ricordiamo le grandi parole del papa Paolo VI: « I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido di angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello » (12). A questo punto alla carità si aggiunge la giustizia, perché - dice ancora Paolo VI - « la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario » (13). Di conseguenza « ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile » (14).
Alla luce di queste forti espressioni si vede quanto - individui e popoli - siamo ancora distanti dall'amare gli altri « come noi stessi », che è comando di Gesù.
Giovanni Paolo II, Angelus 10 marzo 1991
Non si riuscirebbe a capire il valore dell'enciclica Rerum Novarum, se non si tenesse conto dei principii etici che nel secolo scorso spinsero la Chiesa a prender posizione nei confronti delle teorie economiche allora elaborate con diretto influsso in campo sociale. Leone XIII respingeva con fermezza la dottrina e la prassi storica del liberalismo classico, che, sottraendo l'interesse individuale ai limiti derivanti dalla finalità sociale dei beni, aveva portato alla formazione di una minoranza di straricchi ed imposto "alla infinita moltitudine di proletari un gioco poco meno che servile".
D'altra parte, egli rifiutava con altrettanto vigore la soluzione della questione operaia sostenuta da quanti, sull'opposto versante, "attizzando nei poveri l'odio per i ricchi", propugnavano l'abolizione della proprietà privata e la collettivizzazione dei beni, facendo dello Stato l'unico e incontrastato padrone.