Ep. 85 - Papale papale -"Lebbra"
Paolo VI, Angelus 29 gennaio 1978
La lebbra è un flagello che la Bibbia cataloga (Cfr. Lev. 13. 89) e che nel Vangelo ci ricorda la pietà miracolosa con cui Gesù Cristo stesso la risanò.
E sebbene oggetto di tanti studi e di tante cure per cui la lebbra non è più quel malanno inguaribile, contagioso e maledetto, ch’era sempre considerato, essa rimane infermità tipica, che non solo esige assistenza sanitaria specializzata, ma rappresenta un fenomeno simbolico dell’umana infermità, che il Vangelo affronta con miracolosa energia e che, sempre alla luce del Vangelo, c’insegna, primo, non esservi malanno umano, per deforme e ripugnante che sia, al quale non si debba prodigare rispetto, cura e rimedio. La carità cristiana, felice d’avere seguaci che la sopravanzano, è stata all’avanguardia in questa lotta, ritenuta per tanto tempo disperata, contro la lebbra, proprio per il carattere di questa malattia estremamente nemico e distruttore delle membra vive dell’uomo.
Giovanni Paolo II, discorso ad una delegazione dell’associazione italiana “Amici di Raoul Follerau” 29 gennaio 1983
La vostra presenza mi richiama alla mente l’esperienza che ho vissuto personalmente a contatto con questi nostri fratelli nei lebbrosari dell’Africa e del Brasile, durante i viaggi da me compiuti in quei continenti dell’emisfero sud. La tragedia di oltre quindici milioni di nostri fratelli afflitti dal tremendo bacillo della lebbra non può lasciarci indifferenti, anche perché esso, se preso in tempo, può essere isolato e debellato.
(...) Il Signore che fece dei lebbrosi, possiamo dire, dei protagonisti della sua misericordia, chiede all’uomo di oggi il suo sforzo per combattere non solo il bacillo di Hansen, ma anche quello ancor più contagioso dell’egoismo che fa disattendere la situazione di tanti bambini, giovani, uomini, donne e anziani colpiti dalla lebbra che ancora giacciono nell’emarginazione, nell’abbandono, nell’anonimato e nell’incuria.
Francesco, Angelus 15 febbraio 2015
A noi, oggi, il Vangelo della guarigione del lebbroso dice che, se vogliamo essere veri discepoli di Gesù, siamo chiamati a diventare, uniti a Lui, strumenti del suo amore misericordioso, superando ogni tipo di emarginazione. Per essere “imitatori di Cristo” (cfr 1 Cor 11,1) di fronte a un povero o a un malato, non dobbiamo avere paura di guardarlo negli occhi e di avvicinarci con tenerezza e compassione, e di toccarlo e di abbracciarlo. Ho chiesto spesso, alle persone che aiutano gli altri, di farlo guardandoli negli occhi, di non avere paura di toccarli; che il gesto di aiuto sia anche un gesto di comunicazione: anche noi abbiamo bisogno di essere da loro accolti. Un gesto di tenerezza, un gesto di compassione… Ma io vi domando: voi, quando aiutate gli altri, li guardate negli occhi? Li accogliete senza paura di toccarli? Li accogliete con tenerezza? Pensate a questo: come aiutate? A distanza o con tenerezza, con vicinanza? Se il male è contagioso, lo è anche il bene.
Benedetto XVI, Angelus 14 ottobre 2007
È la fede che salva l'uomo, ristabilendolo nella sua relazione profonda con Dio, con se stesso e con gli altri; e la fede si esprime nella riconoscenza. Chi, come il samaritano sanato, sa ringraziare, dimostra di non considerare tutto come dovuto, ma come un dono che, anche quando giunge attraverso gli uomini o la natura, proviene ultimamente da Dio. La fede comporta allora l'aprirsi dell'uomo alla grazia del Signore; riconoscere che tutto è dono, tutto è grazia. Quale tesoro è nascosto in una piccola parola: "grazie"!
Gesù guarisce dieci malati di lebbra, infermità allora considerata una "impurità contagiosa" che esigeva una purificazione rituale (cfr Lv 14, 1-37). In verità, la lebbra che realmente deturpa l'uomo e la società è il peccato; sono l'orgoglio e l'egoismo che generano nell'animo umano indifferenza, odio e violenza. Questa lebbra dello spirito, che sfigura il volto dell'umanità, nessuno può guarirla se non Dio, che è Amore.