Ep. 155- Papale papale -"Apocalisse"
Benedetto XVI, udienza generale 5 settembre 2012
Oggi vorrei parlare della preghiera nel Libro dell’Apocalisse, che, come sapete, è l’ultimo del Nuovo Testamento. E’ un libro difficile, ma che contiene una grande ricchezza. Esso ci mette in contatto con la preghiera viva e palpitante dell’assemblea cristiana, radunata «nel giorno del Signore» (Ap 1,10): è questa infatti la traccia di fondo in cui si muove il testo.
(...) Cari amici, l’Apocalisse ci presenta una comunità riunita in preghiera, perché è proprio nella preghiera che avvertiamo in modo sempre crescente la presenza di Gesù con noi e in noi. Quanto più e meglio preghiamo con costanza, con intensità, tanto più ci assimiliamo a Lui, ed Egli entra veramente nella nostra vita e la guida, donandole gioia e pace. E quanto più noi conosciamo, amiamo e seguiamo Gesù, tanto più sentiamo il bisogno di fermarci in preghiera con Lui, ricevendo serenità, speranza e forza nella nostra vita. Grazie per l’attenzione.
Giovanni XXIII, allocuzione agli alunni dei Seminari e collegi ecclesiastici di Roma 28 gennaio 1960
Il secondo pensiero vi invita alle solide delizie della Sacra Scrittura: Accipite librum, et devorate illum.
La figura profetica dell'Apocalisse vi sia sempre davanti agli occhi: è l'Angelo del mare e della terra che, su invito della voce dal cielo, porge a voi, come a Giovanni Apostolo, il Libro sacro. Quale efficace simbolo della Chiesa, che si estende su tutti i continenti, e che vi porge il suo tesoro prezioso!
Nel Libro è segnata per ciascuno la voluntas Dei: vi è indicata la direzione della vita, e il segreto del successo di ogni buon apostolato, che non è mai frenetico di risultati umani, i quali possono anche mancare. Vedete infatti come agisce la Chiesa: coi suoi Concili, coi Sinodi, con le prescrizioni canoniche essa semina in un secolo, e raccoglie nei secoli successivi.
Francesco, Angelus 1 novembre 2015
Nella liturgia, il Libro dell’Apocalisse richiama una caratteristica essenziale dei santi e dice così: essi sono persone che appartengono totalmente a Dio. Li presenta come una moltitudine immensa di “eletti”, vestiti di bianco e segnati dal “sigillo di Dio” (cfr 7,2-4.9-14). Mediante quest’ultimo particolare, con linguaggio allegorico viene sottolineato che i santi appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo, sono sua proprietà. E che cosa significa portare il sigillo di Dio nella propria vita e nella propria persona? Ce lo dice ancora l’apostolo Giovanni: significa che in Gesù Cristo siamo diventati veramente figli di Dio (cfr 1 Gv 3,1-3).
Siamo consapevoli di questo grande dono? Tutti siamo figli di Dio!
Giovanni Paolo II, udienza generale 3 luglio 1991
“Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”. La risposta è decisa: nulla “potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 35.39). Pertanto l’auspicio di Paolo è che abbondiamo “nella speranza per virtù dello Spirito Santo” (Rm 15, 13). Radica qui l’ottimismo cristiano: ottimismo sul destino del mondo, sulla possibilità di salvezza dell’uomo in tutti i tempi, anche nei più difficili e duri, sullo sviluppo della storia verso la glorificazione perfetta di Cristo (“Egli mi glorificherà”: Gv 16, 14), e la partecipazione piena dei credenti alla gloria dei figli di Dio.
Con questa prospettiva il cristiano può tener levato il capo e associarsi all’invocazione che secondo l’Apocalisse è il sospiro più profondo, suscitato nella storia dallo Spirito Santo: “Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!” (Ap 22, 17). Ed ecco l’invito finale dell’Apocalisse e del Nuovo Testamento: “Chi ascolta, ripeta: Vieni! Chi ha sete, venga, chi vuole, attinga gratuitamente l’acqua della vita . . . Vieni, Signore Gesù!”