Ep. 185- Papale papale -"Talenti"
Francesco, Angelus 19 novembre 2023
... La parabola dei talenti. Un padrone parte per un viaggio e affida ai servi i suoi talenti, ovvero i suoi beni, un “capitale”: i talenti erano un’unità monetaria. Li distribuisce in base alle capacità di ciascuno. Al ritorno chiede conto di ciò che hanno fatto. Due di loro hanno raddoppiato quanto ricevuto e il signore li loda, mentre il terzo, per paura, ha seppellito il suo talento e può solo restituirlo, ragione per cui riceve un severo rimprovero. Guardando a questa parabola, possiamo imparare due modi diversi di accostarci a Dio.
Il primo modo è quello di colui che seppellisce il talento ricevuto, che non sa vedere le ricchezze che Dio gli ha dato: egli non si fida, né del padrone né di sé stesso.
(...) Vediamo allora il secondo modo, negli altri due protagonisti, che ricambiano la fiducia del loro signore fidandosi a loro volta di lui. (...) Si fidano, studiano e rischiano. Così hanno il coraggio di agire con libertà, in modo creativo, generando nuova ricchezza (cfr vv. 20-23).
Benedetto XVI, Angelus 16 novembre 2008
La pagina evangelica narra la celebre parabola dei talenti, riportata da san Matteo (25,14-30). Il "talento" era un’antica moneta romana, di grande valore, e proprio a causa della popolarità di questa parabola è diventata sinonimo di dote personale, che ciascuno è chiamato a far fruttificare. In realtà, il testo parla di "un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni" (Mt 25,14). L’uomo della parabola rappresenta Cristo stesso, i servi sono i discepoli e i talenti sono i doni che Gesù affida loro. Perciò tali doni, oltre alle qualità naturali, rappresentano le ricchezze che il Signore Gesù ci ha lasciato in eredità, perché le facciamo fruttificare: la sua Parola, depositata nel santo Vangelo; il Battesimo, che ci rinnova nello Spirito Santo; la preghiera – il "Padre nostro" – che eleviamo a Dio come figli uniti nel Figlio; il suo perdono, che ha comandato di portare a tutti; il sacramento del suo Corpo immolato e del suo Sangue versato. In una parola: il Regno di Dio, che è Lui stesso, presente e vivo in mezzo a noi. Questo è il tesoro che Gesù ha affidato ai suoi amici, al termine della sua breve esistenza terrena.
Giovanni Paolo II, visita alla parrocchia romana di Santa Maria del Popolo 18 novembre 1984
Che cosa significa talento? In senso letterale indica una moneta di grande valore usata ai tempi di Gesù. In senso traslato vuol dire “le doti”, che sono partecipate a ogni uomo concreto: il complesso delle qualità, di cui un soggetto personale, nella sua interezza psicofisica, viene dotato “dalla natura”.
Tuttavia la parabola mette in evidenza che queste capacità sono al tempo stesso un dono del Creatore “dato”, trasmesso ad ogni uomo.
Queste “doti” sono diverse e multiformi. Ce lo conferma l’osservazione della vita umana, in cui si vede la molteplicità e la ricchezza dei talenti che sono negli uomini.
Il racconto di Gesù sottolinea con fermezza che ogni “talento” è una chiamata e un obbligo ad un lavoro determinato, inteso nel duplice significato di lavoro su se stessi e di lavoro per gli altri. Afferma, cioè, la necessità di un’ascesi personale unita all’operosità in favore del fratello.
Paolo VI, udienza generale 16 novembre 1977
Non saremo giudicati sul ciò che siamo, quanto piuttosto sul ciò che facciamo. Il Vangelo è molto chiaro a tale riguardo: leggete il Magnificat, leggete le Beatitudini; ricordate la parabola di Cristo sui talenti: non è la fortuna di averli che conta, ma il frutto che si sa ricavare dai talenti stessi, che costituisce la loro vera fortuna per noi. Il fare, il fare bene, il fare il bene prevale nel giudizio finale sul valore della nostra esistenza, sull’essere e sul conoscere.
E allora ciò che importa soprattutto è l’impiego della nostra volontà.