Ep. 284 - Papale papale - "Promessa"
Francesco, udienza generale 11 agosto 2021
L’Apostolo spiega ai Galati che, in realtà, l’Alleanza con Dio e la Legge mosaica non sono legate in maniera indissolubile. Il primo elemento su cui fa leva è che l’Alleanza stabilita da Dio con Abramo era basata sulla fede nel compimento della promessa e non sull’osservanza della Legge, che ancora non c’era. Abramo incominciò a camminare secoli prima della Legge. Scrive l’Apostolo: «Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso [con Abramo], non può dichiararlo nullo una Legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo [con Mosè], annullando così la promessa. Se infatti l’eredità si ottenesse in base alla Legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece ha fatto grazia ad Abramo mediante la promessa» (Gal 3,17-18). La promessa era prima della Legge e la promessa ad Abramo, poi è venuta la legge 430 anni dopo. La parola “promessa” è molto importante: il popolo di Dio, noi cristiani, camminiamo nella vita guardando una promessa; la promessa è proprio ciò che ci attira, ci attira per andare avanti all’incontro con il Signore.
Paolo VI, udienza generale 3 maggio 1978
L’uomo è come Giuseppe, il figlio prediletto di Giacobbe, ch’egli definisce, nella Bibbia, il figlio che cresce, il rampollo che sale (Gen. 49, 22). Il senso positivo di questa tendenza a desiderare, a crescere, ad avere, è che ciò sia secondo giustizia, cioè secondo un disegno divino inscritto nella natura ideale dell’uomo, quale Dio creatore ha implicitamente inserito nella concezione tipica, cioè buona dell’uomo stesso: rintracciare questo disegno in via di perfezione segna la linea di sviluppo, cioè la fame e la sete di giustizia assegnata da Dio alla sorte dell’uomo: è la «giustizia» implicita che l’uomo deve desiderare e portare ad un esplicito compimento; è la promessa evangelica che sta al termine di questa beatitudine.
Giovanni Paolo I, cappella papale per la presa di possesso della Cathedra Romana 23 settembre 1978
I sacerdoti, i religiosi e le religiose, hanno una posizione particolare, legati come sono o dal voto o dalla promessa di obbedienza. Io ricordo come uno dei punti solenni della mia esistenza il momento in cui, messe le mie mani in quelle del vescovo, ho detto: « Prometto ». Da allora mi sono sentito impegnato per tutta la vita e mai ho pensato che si fosse trattato di cerimonia senza importanza. Spero che i sacerdoti di Roma pensino altrettanto. Ad essi ed ai religiosi S. Francesco di Sales ricorderebbe l'esempio di S. Giovanni Battista, che visse nella solitudine, lontano dal Signore, pur desiderando tanto di essergli vicino. Perché? Per obbedienza; « sapeva - scrive il santo - che trovare il Signore all'infuori dell'obbedienza significava perderlo».
Benedetto XVI, solennità dell’Epifania del Signore 6 gennaio 2012
Anche il Vescovo deve essere un uomo dal cuore inquieto che non si accontenta delle cose abituali di questo mondo, ma segue l’inquietudine del cuore che lo spinge ad avvicinarsi interiormente sempre di più a Dio, a cercare il suo Volto, a conoscerLo sempre di più, per poterLo amare sempre di più. Anche il Vescovo deve essere un uomo dal cuore vigilante che percepisce il linguaggio sommesso di Dio e sa discernere il vero dall’apparente. Anche il Vescovo deve essere ricolmo del coraggio dell’umiltà, che non si interroga su che cosa dica di lui l’opinione dominante, bensì trae il suo criterio di misura dalla verità di Dio e per essa s’impegna: “opportune – importune”. Deve essere capace di precedere e di indicare la strada. Deve precedere seguendo Colui che ha preceduto tutti noi, perché è il vero Pastore, la vera stella della promessa: Gesù Cristo.