Ep. 342 - Papale papale - "Comunità"
Giovanni Paolo II, udienza generale 22 settembre 1993
Nella comunità cristiana le relazioni sono essenzialmente fraterne, come ha chiesto Gesù nel “suo” mandato rievocato con tanta insistenza dall’apostolo san Giovanni nel Vangelo e nelle Lettere (cf. Gv 13, 14; 15, 12. 17; 1 Gv 4, 11. 21). Gesù stesso dice ai suoi discepoli: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 8).
Secondo l’insegnamento di Gesù, presiedere la comunità non significa dominarla, ma servirla. Egli stesso ci ha dato l’esempio del Pastore che pasce e serve il suo gregge, e ha proclamato di essere venuto non per essere servito ma per servire (cf. Mc 10, 45; Mt 20, 28). Alla luce di Gesù, buon Pastore e unico Signore e Maestro (cf. Mt 23, 8), il Presbitero capisce che non può ricercare il proprio onore né il proprio interesse, ma soltanto ciò che ha voluto Gesù Cristo, mettendosi a servizio del suo Regno nel mondo. Egli dunque sa – e il Concilio glielo rammenta – che deve comportarsi come servitore di tutti, con sincera e generosa donazione di se stesso, accettando tutti i sacrifici richiesti dal servizio e ricordando sempre che Gesù Cristo, unico Signore e Maestro, venuto per servire, lo ha fatto fino a dare “la propria vita in riscatto per molti”.
Paolo VI, Angelus 17 febbraio 1974
Oggi preghiamo per Roma, la nostra, la vostra Diocesi, per la sua comunità ecclesiale, e per quante altre chiese locali si trovano in analoghe condizioni.
(...) E allora preghiamo, fratelli, innanzi tutto per sentirci e per essere fratelli. Sì, per sentirci e per essere fratelli. La residenza d’una popolazione eterogenea e enormemente accresciuta in pochi anni e affluita in una città impreparata ad ospitarla degnamente e priva di mezzi per una adeguata accoglienza, non basta a infondere negli abitanti, antichi e nuovi, unità, solidarietà, coscienza storica comune, lavoro, assistenza, benessere, ordinata compagine civile. La triste diagnosi, resa talora da alcune voci anche più amara del giusto, fatta in questi giorni circa i malanni e i bisogni di tanti quartieri, ha accresciuto e anche crudelmente inasprito la sofferenza umana e cristiana, che già tanti di noi portavano nel cuore; abbiamo sentito con pena acuta la necessità, anzi il dovere d’un nuovo spirito comunitario. Offriamo ora al Signore questa sofferenza, affinché Egli la converta in nuovi propositi di vera e operante socialità.
Benedetto XVI, discorso alle comunità del cammino neocatecumenale 20 gennaio 2012
La celebrazione nelle piccole comunità, regolata dai Libri liturgici, che vanno seguiti fedelmente, e con le particolarità approvate negli Statuti del Cammino, ha il compito di aiutare quanti percorrono l’itinerario neocatecumenale a percepire la grazia dell’essere inseriti nel mistero salvifico di Cristo, che rende possibile una testimonianza cristiana capace di assumere anche i tratti della radicalità. Al tempo stesso, la progressiva maturazione nella fede del singolo e della piccola comunità deve favorire il loro inserimento nella vita della grande comunità ecclesiale, che trova nella celebrazione liturgica della parrocchia, nella quale e per la quale si attua il Neocatecumenato (cfr Statuti, art. 6), la sua forma ordinaria. Ma anche durante il cammino è importante non separarsi dalla comunità parrocchiale, proprio nella celebrazione dell’Eucaristia che è il vero luogo dell’unità di tutti, dove il Signore ci abbraccia nei diversi stati della nostra maturità spirituale e ci unisce nell’unico pane che ci rende un unico corpo.
Giovanni XXIII, radiomessaggio in occasione del Natale 23 dicembre 1959
I turbamenti che scuotono la pace interna delle nazioni traggono origine principalmente proprio da questo, che l'uomo è stato trattato quasi esclusivamente da strumento, da merce, da miserevole ruota di ingranaggi di una grande macchina, semplice unità produttiva. Solo quando si prenderà come criterio di valutazione dell'uomo e della sua attività la sua dignità personale, si avrà il mezzo per placare le discordie civili e le divergenze, spesso profonde, fra datori di lavoro, per esempio, e lavoratori, e soprattutto per assicurare all'lstituto familiare quelle condizioni di vita, di lavoro e di assistenza, atte a fargli meglio svolgere la sua funzione di cellula della società e prima comunità da Dio stesso costituita per lo sviluppo della persona umana.