San Giovanni Nepomuceno, sacerdote e martire di Praga
Due storie per un solo Santo e un finale che non cambia in nessuno dei due casi, il martirio. O forse la seconda storia, ben poco nobile e crudele, è lo sfondo della prima, quella istituzionale e comunque efferata. Qualsiasi sia il grado di attendibilità storica di entrambe, da entrambe le facce della medaglia brilla la figura di un giovane sacerdote. Di quelli che quasi non si vedono – perché hanno scelto di servire Dio senza farsi pubblicità – ma che sanno sfoderare una spina dorsale solidissima quando in gioco ci sono la difesa della Chiesa e dei Sacramenti.
Luce in ombra
Il giovane sacerdote si chiama Giovanni, un boemo di Nepomuk, località in cui nasce nel 1330 (altre fonti dicono verso il 1345) e che gli conserverà nei secoli l’appellativo di “Nepomuceno”. Giovanni, racconta la storia principale, è un uomo di intelletto – si è laureato in Diritto canonico a Padova nel 1387 – ma anche una persona che non usa la vocazione per fare carriera. Fa il parroco, svolge vari incarichi ecclesiastici, viene nominato canonico della cattedrale di San Vito ma senza i benefici che ne derivano. Tuttavia una stella brilla soprattutto al buio e così nel 1393 l’arcivescovo di Praga vuole quel sacerdote come suo vicario generale. Giovanni suo malgrado arriva alla ribalta e poiché tra i suoi pregi c’è anche quello di essere un brillante predicatore, come tale viene chiamato a corte da re Venceslao IV. Sembra tutto perfetto, ma non lo è.
Contro il sopruso
Come tutti i re anche Venceslao ha le sue mire. Quando nel 1393 il monastero di Kladruby resta vacante per la morte dell’abate, il monarca ordina di trasformarlo in una sede vescovile per piazzarvi una persona di suo gradimento. Giovanni insorge. Esperto di codici, sa che sottostare a quella decisione equivarrebbe a una grave violazione della libertà ecclesiale e quindi si adopera per l’elezione di un nuovo abate confermandola canonicamente. Il re non ci sta a farsi mettere all’angolo e fa arrestare Giovanni con altre tre personalità della Chiesa. Le torture fanno cedere gli altri, Giovanni resiste ma Venceslao ne ordina l’esecuzione. La notte del 20 marzo 1393, il sacerdote viene portato in catene fino al fiume Moldava, issato sul parapetto e buttato giù. L’idea era di farlo sparire di nascosto ma il giorno dopo il cadavere di Giovanni viene ritrovato lungo la sponda circondato da una luce straordinaria. E il sospetto su chi ne abbia ordinato l’assassinio corre di bocca in bocca in un lampo.
Martire del Sacramento
L’altra storia, quella meno istituzionale, viene a galla da alcuni annali 60 anni dopo. Racconta della moglie di Venceslao, la regina Giovanna di Baviera, che ha trovato in Giovanni, uomo di grande profondità spirituale, il suo confessore. Anche la regina ha una fede trasparente, passa ore in preghiera e soprattutto sopporta con dignità i continui tradimenti del marito, che si divide tra alcol e cortigiane. Eppure, tragico paradosso, è Venceslao a dubitare della fedeltà della moglie. Prima sospetta di una relazione con Giovanni, poi dell’esistenza di un qualche amante di cui il confessore non può non sapere. Un giorno il re ordina al sacerdote di rivelargli le confidenze della regina ma Giovanni si oppone, non violerà il segreto della confessione. Seguono nuove richieste e intimidazioni che non cambiano l’atteggiamento del sacerdote. Vera o meno, anche questa storia finisce come la prima, con Giovanni brutalmente gettato nella corrente della Moldava. Ancora oggi una croce tra il sesto e il settimo pilone sul fiume ricorda il sacrificio di un prete umile e coraggioso, celebrato come il martire del sigillo sacramentale.